Trompe l’oeil. Elezioni comunali a Monopoli

Trompe l’oeil. Elezioni comunali a Monopoli

Dopo gli anni trascorsi in un limbo da trompe l’oeil, finalmente si avvicina l’elezione comunale a Monopoli. Le liste di candidate e candidati sono state pubblicate in pompa magna. Scorrendo i nomi non ci sono molte sorprese su quelli che si ricandidano, ce ne sono su quelli nuovi: sembrano iscritti del vecchio ufficio di collocamento, molti dei titolari sono figure senza lavoro, professionisti senza clienti, molti parenti, mogli e fidanzate in cerca di visibilità e lavoro.

Nessun programma se non banali slogan da festa della matricola, sui santini già distribuiti nei bar, edicole, etc… le solite pose da icone santificate. Nessun riferimento alle problematiche nazionali: il duo Meloni-Salvini che conduce il governo più reazionario della storia repubblicana del paese, la lenta abolizione di tutte le tutele e i diritti di cittadine e cittadini, la guerra ideologica contro i migranti. Nulla di tutto ciò trapela nelle loro dichiarazioni elettorali, nessuna presa di distanza e di condanna verso la destra cittadina.

Monopoli si presenta così come una città che vive in un limbo da trompe l’oeil, senza cultura se non quella del consumismo e della moda, tra operatori specializzati nella tosatura dei turisti, gruppi di distruzione del territorio urbanistico, giovani senza futuro lavorativo, se non quello del lavoro nero estivo. Nulla viene dichiarato dai concorrenti all’amministrazione futura della città.

L’incredibile passività di cittadini e cittadine rimasti senza strumenti critici bombardati per anni dai media sia locali che nazionali.

Come sarà il futuro della città? Nessuna risposta, omertà assoluta, autismo come nascondiglio sociale. Autodistruzione di quel poco di realtà che ci è rimasta.

A. Montanaro

Sotto il cielo di aprile.  Passeggiata storica sui luoghi dell’aprile 1975 a Milano

Sotto il cielo di aprile. Passeggiata storica sui luoghi dell’aprile 1975 a Milano

Milano, 16 aprile 2023. Una camminata in ricordo di Claudio Varalli e Giannino Zibecchi ci conduce nei luoghi in cui, negli stessi giorni di quasi cinquant’anni fa, i due militanti antifascisti persero la vita, assassinati: Varalli per un colpo di pistola sparato da un fascista, Zibecchi travolto da una camionetta dei carabinieri.
Torniamo sui luoghi della storia perché la storia non sia dimenticata, né riscritta, e lo facciamo insieme per rinsaldare i nostri legami e per riconoscerci in ciò che ci unisce. La Passeggiata storica dell’aprile ’75 a Milano è stata organizzata da RAM (Restauro arte memoria), Associazione per non dimenticare Varalli e Zibecchi, Collettivo Kasciavit. Sul sito https://www.pernondimenticare.net/sotto_cielo_aprile/fiamma.html è disponibile la documentazione che ha accompagnato ogni tappa del percorso.

Dopo il concentramento in Piazza Santa Maria del Suffragio il corteo si è fermato in via Fiamma, da dove i carabinieri sparavano verso le migliaia di manifestanti che assediavano la sede del Movimento sociale italiano, in via Mancini. Qui è il luogo per ricordare la Legge Reale, che ha autorizzato l’uso delle armi da parte delle forze dell’ordine in funzione “preventiva” e che di fatto ha rappresentato per esse un “richiamo all’impunità”, un tassello a cui si aggiungeranno altri provvedimenti repressivi. Durante la tappa è stato evidenziato l’impatto di questa legge e le sue conseguenze fino ad anni recenti.

Via Mancini, con la sede dei fascisti, presa d’assalto da un grande corteo il giorno dopo la morte di Varalli. “Migliaia di persone che avevano la determinazione di farla finita con le provocazioni fasciste”. Fu durante lo scontro con la polizia intervenuta per proteggere la sede che Zibecchi perse la vita, travolto da una camionetta dei carabinieri.
“Da qui parti manifestazione che con una bomba a mano uccise l’agente Marini. Questa era la sede di Ignazio Larussa. Che ora ci spiega dai banchi della presidenza del senato che il MSI fu un movimento democratico” sottolinea una delle voci che si altrnano al microfono durante la sosta, mentre vengono attaccati al muro della sede cartelloni che riepilogano la cronistoria delle provocazioni fasciste nel 1975 (la trovate qui). Sul muro c’è una targa dedicata a Ramelli. Perché proprio qui, visto che solitamente le targhe commemorative sono poste dove una persona ha vissuto o dove è stata uccisa? “È per ripulirsi la coscienza o per rivendicare tutto ciò che da questa sede ha avuto origine?” è la domanda scandita al microfono da una delle compagne di RAM.

La camminata prosegue verso Corso XXII marzo, dove quel 17 aprile una camionetta dei carabinieri schizzò come impazzita, sembrava che puntasse colpire i manifestanti come birilli (la testimonianza) e ne tirò giù uno. Qui c’è la corona di alloro dedicata a Zibecchi, che durante la tappa è stata sostituita con una fresca.

Ci fermiamo poi davanti al Palazzo di giustizia, dove si sono svolti i processi per i due omicidi, e per ricordare come sono andati a finire: prescrizione per l’omicidio di Varalli, assoluzione per quello di Zibecchi. Qui una sintetica descrizione. Arriviamo infine a Piazza Santo Stefano, dove dal 1976 si trova il monumento alla memoria dei due compagni uccisi.

Il teatro della crudeltà

Il teatro della crudeltà

Dopo l’ennesima strage in mare sulle coste della Calabria, sul palco teatrale del cinismo di governo sono iniziati i balletti delle responsabilità. Nessun colpevole, tutti innocenti, i colpevoli sono i morti che non dovevano partire. Ci avrebbe pensato il ministro Piantedosi coadiuvato dall’ammiraglio Salvini, dopo aver allestito una flotta per sottrarre i rifugiati alle grinfie dei trafficanti.

Perciò chi parte dalle varie zone in guerra e dalla povertà è colpevole al pari dei trafficanti, ben gli sta: il messaggio è chiaro, non partite. Mentre la premier Meloni è assente causa tour turistico con famiglia (nessuna dichiarazione pervenuta), ci pensano i vari portaparola, con dichiarazioni in sfavore dei morti.

Questi sono morti colpevoli, mentre quelli ucraini lo sono da eroi. Anche nella categoria mortuaria ci sono differenze, secondo i vari media schierati dalla parte della guerra in Ucraina (praticamente tutti). Nessuna vergogna nei commenti di personaggi televisivi vari.

In Italia cittadini e cittadine assistono al teatro, crudele com non mai, del neo-fascismo al governo. Stiamo pagando anni di odio verso gli stranieri rifugiati dalle guerre che la NATO ha scatenato negli anni passati: Serbia, Iraq, Afghanistan, Libia e Siria. Paesi devastati con la scusa di portare la democrazia, e il prezzo lo stiamo pagando ora. Senza contare le altre guerre per procura, Ucraina, Yemen etc.

Ci sarà mai un tribunale internazionale a condannare tutti questi crimini?

A. Montanaro

L’orchestra

L’orchestra

Da un anno molte orchestre composte da trombette e tromboni suonano l’opera prima della guerra in Ucraina, opera prima bourrage de crâne, tutti proni nell’elogio dei martiri che si immolano per difendere noi, occidentali, naturalmente democratici, contro la tirannia di Putin l’invasore.

Qualcuno comincia a mettere in dubbio che le cose stiano andando nel verso voluto dal racconto, naturalmente subito tacciato di putinista al soldo della pace.

Non si parla del nascosto, cioè le armi che l’industria bellica occidentale continua a fornire agli ucraini, come dire “noi facciamo affari con la vostra guerra e voi morite per noi”.

Mentre il governo Meloni composto principalmente da fascisti nostalgici del ventennio e nuovi reazionari pronti a vendicarsi per i tanti anni messi in disparte apre la strada a quelli che scorrazzano davanti alle scuole per punire chi fra le persone giovani non la pensa come loro.

L’indicibile ministro degli interni e quello della scuola, in coppia, non perdono occasione per rivendicare le loro azioni intimidatorie su chi non ubbidisce alle loro regole anti-democratiche.

Mentre la mummia Berlusconi lancia segnali in favore di Putin, amico di letto e di affari.

Stiamo subendo tutto questo mentre le reazioni di cittadine e cittadini democratici, che pure si verificano, sono messe sotto silenziatore da tanta potenza mediatica.

Il futuro è sempre stato un’incognita. Nel tempo presente sembra pericolosamente inclinato verso la distruzione dell’umanità in una guerra nucleare. Sapremo evitarla?

A. Montanaro

La perdita dell’innocenza

La perdita dell’innocenza

Non si può più nascondersi dietro alibi inventati al momento, davanti allo spettacolo del governo post-fascista della Meloni, entrato in esecutivo subito con decreti autoritari, in tutti i settori sociali della vita cittadini.

Non si tratta più dell’ambigua narrazione dei media in sintonia con la destra, che per anni hanno inquinato l’informazione, operazione di cui si vedono già oggi i risultati, dove nei vari programmi televisivi molti giornalisti sono stati sostituiti dalla Meloni.

Si svela oggi la realtà della destra che per anni si è nascosta dietro a un velo di ipocrisia, senza dichiarare le vere intenzioni che la legano al vecchio programma della P2, ossia una repubblica presidenziale, una democrazia autoritaria stile Orban.

Non ci vuole la sfera di cristallo per interrogarsi sul passato, quando molti militanti della destra sono stati coinvolti nella strategia della tensione. Emergono oggi molti nomi protagonisti di quel passato di stragi. Gli esponenti del MSI che oggi siedono in parlamento mai hanno preso distanza da quei fatti.

Così molti antifascisti sono caduti nel teorema del vecchio fascismo mussoliniano senza capire il nuovo che avanzava.

Per anni la mercificazione del passato con calendari e vari gadget esposti in tante edicole ha veicolato l’idea di un passato nostalgico, del non ritorno di una storia già passata, quindi innocua, mentre sotto la cenere si cementava il nuovo fascismo idealizzato dalla Meloni.

Cittadini e cittadine nella perdita dell’innocenza si ritrovano coinvolti nella nascita di una nuova società sovranista e illiberale, conseguente allo spettacolo voyeurista e al gusto trash.

A Montanaro

Immagine by Collettivo Zam

Caro Giuseppe Pinelli

Caro Giuseppe Pinelli

Caro Pino,

quando io sono nata, tu eri già morto. Precipitato giù da una finestra della questura di Milano, la città dove sono nata e dove ho sempre vissuto. Quando ti hanno buttato giù ti stavano “interrogando” dopo che una bomba esplosa in piazza Fontana aveva fatto una strage. In quella piazza c’è una fontana, appunto. Sappiamo che le fontane sono rarissime a Milano, ma lì c’è una fontana che sorge al centro di un’area circolare orlata di alberi, sostenuta da due statue in forma di donna. È un luogo intimo, dove a me e mia mamma piace incontrarci nelle giornate estive, per farci coccolare dal suono dell’acqua all’ombra degli alberi.

Caro Pino, quando io sono nata la vita tua e di molte delle persone che si trovavano dentro alla banca che dava sulla piazza, quel 12 dicembre 1969, erano già state interrotte per morte violenta. 

Caro Pino, tu e gli altri anarchici eravate innocenti. Non avete messo voi quella bomba, ma coloro contro i quali lottavate. 

Quando io nascevo della tua morte si parlava ancora molto, nella città di Milano. E non ero ancora nata quando venne ucciso Saverio Saltarelli, un altro 12 dicembre, per mano dello Stato, ancora. 

Caro Pino, la prima volta che ho partecipato a una di quelle manifestazioni che si fanno il 12 dicembre ero una ragazzina alle scuole superiori. Poco ne sapevo di te e degli altri. Mi piaceva un coetaneo che parlava di storia e sentivo che quella storia mi riguardava, perciò ero in piazza. A quell’epoca tutto era confuso e così luminoso da risultare accecante, i miei desideri tanto quanto la storia che da un lato mi atterriva e dall’altro svegliava la mia coscienza e mi diceva: guarda! Ascolta! Studia! Conosci! 

Sono stata privilegiata, nella vita. Ho potuto studiare e conoscere e scegliere di stare dalla parte giusta. 

Caro Pino, oggi è un altro 12 dicembre. Ora la storia è scritta: la strage fu fascista, tu venisti ucciso, quella contro gli anarchici fu diffamazione. La storia non basta scriverla, così pare. Oggi gli eredi di quei fascisti impugnano i vessilli dello stato democratico. Voi anarchici avete sempre sospettato della democrazia borghese e i fatti sembrano averci avervi dato ragione. Non c’era da fidarsi, dunque?

Caro Pino, non so risponderti. È talmente impegnativo quel che l’anarchia chiede a ciascun essere umano: comportarsi in modo talmente responsabile e rispettoso degli altri esseri con cui condividiamo la vita da non aver bisogno di alcuna legge. È un compito così grande che posso pretenderlo solo da me stessa. 

Caro Pino, ti farà piacere sapere quel che ho visto oggi al corteo del 12 dicembre: la fiammella libertaria è ancora accesa. 

Eleonora Cirant

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