Caro Giuseppe Pinelli

Caro Giuseppe Pinelli

Caro Pino,

quando io sono nata, tu eri già morto. Precipitato giù da una finestra della questura di Milano, la città dove sono nata e dove ho sempre vissuto. Quando ti hanno buttato giù ti stavano “interrogando” dopo che una bomba esplosa in piazza Fontana aveva fatto una strage. In quella piazza c’è una fontana, appunto. Sappiamo che le fontane sono rarissime a Milano, ma lì c’è una fontana che sorge al centro di un’area circolare orlata di alberi, sostenuta da due statue in forma di donna. È un luogo intimo, dove a me e mia mamma piace incontrarci nelle giornate estive, per farci coccolare dal suono dell’acqua all’ombra degli alberi.

Caro Pino, quando io sono nata la vita tua e di molte delle persone che si trovavano dentro alla banca che dava sulla piazza, quel 12 dicembre 1969, erano già state interrotte per morte violenta. 

Caro Pino, tu e gli altri anarchici eravate innocenti. Non avete messo voi quella bomba, ma coloro contro i quali lottavate. 

Quando io nascevo della tua morte si parlava ancora molto, nella città di Milano. E non ero ancora nata quando venne ucciso Saverio Saltarelli, un altro 12 dicembre, per mano dello Stato, ancora. 

Caro Pino, la prima volta che ho partecipato a una di quelle manifestazioni che si fanno il 12 dicembre ero una ragazzina alle scuole superiori. Poco ne sapevo di te e degli altri. Mi piaceva un coetaneo che parlava di storia e sentivo che quella storia mi riguardava, perciò ero in piazza. A quell’epoca tutto era confuso e così luminoso da risultare accecante, i miei desideri tanto quanto la storia che da un lato mi atterriva e dall’altro svegliava la mia coscienza e mi diceva: guarda! Ascolta! Studia! Conosci! 

Sono stata privilegiata, nella vita. Ho potuto studiare e conoscere e scegliere di stare dalla parte giusta. 

Caro Pino, oggi è un altro 12 dicembre. Ora la storia è scritta: la strage fu fascista, tu venisti ucciso, quella contro gli anarchici fu diffamazione. La storia non basta scriverla, così pare. Oggi gli eredi di quei fascisti impugnano i vessilli dello stato democratico. Voi anarchici avete sempre sospettato della democrazia borghese e i fatti sembrano averci avervi dato ragione. Non c’era da fidarsi, dunque?

Caro Pino, non so risponderti. È talmente impegnativo quel che l’anarchia chiede a ciascun essere umano: comportarsi in modo talmente responsabile e rispettoso degli altri esseri con cui condividiamo la vita da non aver bisogno di alcuna legge. È un compito così grande che posso pretenderlo solo da me stessa. 

Caro Pino, ti farà piacere sapere quel che ho visto oggi al corteo del 12 dicembre: la fiammella libertaria è ancora accesa. 

Eleonora Cirant

25 aprile 2020. La Memoria non va in quarantena

Oggi non potremo andare in piazza per il rito laico che ci accomuna, il rito che da 75 anni rinnova e consolida la comunità antifascista in tutte le città e i paesi d’Italia. Se il rito è la comunità in azione (Durkheim), il 25 aprile resta ancora oggi quell’unità di tempo e luogo in cui le soggettività politiche democratiche si ricompongono nella messa in azione dei propri simboli e in cui la memoria si manifesta come urgenza di azione nel presente. Il 25 aprile è il giorno in cui la babele antifascista sembra parlare con una sola lingua. 

Milano è la città dove più forte è il senso e la partecipazione collettiva nel giorno in cui celebriamo la sconfitta del nazi-fascismo, la fine della dittatura, lo schiudersi della possibilità democratica e dell’utopia. Sono proprio la dimensione del possibile e dell’utopia a spingerci fuori, annodando per un giorno insieme la memoria, il presente, il futuro.

E’ anche il giorno in cui le tante voci spesso dissonanti della sinistra si uniscono a formare un coro. Dico “la sinistra” pur consapevole che la Resistenza è stata comunista, socialista, repubblicana, liberale e cattolica, e che è stata anche la resistenza civile di tante donne e uomini senza bandiera. Ma alle sue radici l’antifascismo è rosso, e tra le famiglie politiche è stata soprattutto quella di sinistra a tramandarne la memoria. Ma comunque, se dico 25 aprile dico “sinistra” perché la sinistra è casa mia, perché vivo con sofferenza la parcellizzazione senza fine delle sinistre in un presente in cui il gioco democratico ha preso regole del tutto diverse da quelle che avrebbero potuto immaginare le partigiane e i partigiani.

Il 25 aprile, e solo il 25 aprile, è il giorno in cui andiamo in piazza e ci incontriamo. Non solo le più militanti, ma tutte e tutti! Il 25 aprile è il giorno in cui ti rivedi dopo un anno, o dopo anni, in cui riannodi i fili delle vite che nel frattempo si erano dispersi, in cui ti scopri più vecchia guardando il volto invecchiato delle persone che ritrovi. Siamo qui, ci siamo ancora, abbiamo qualcosa in comune che è un’idea – un ideale – di come stare insieme, formando una comunità: questo siamo il 25 aprile.

Non che sia una convivenza a-conflittuale, tutt’altro. Il 25 aprile è anche il luogo della contestazione, delle polemiche, del fare a gara tra gli spezzoni per la posizione nel corteo. Il giorno in cui magari anche ritrovi persone che non hai più il piacere di incontrare: perché l’amicizia si è rotta, perché le strade si sono separate, perché la storia d’amore è finita. Allora ti giri di spalle, guardi altrove, e dovunque ti giri trovi altri, diversi e simili. Siamo comunque dentro allo stesso fiume di vite che scorre lungo le arterie della città trasformandone il volto e questo porta gioia, di per sé.

La politica unisce in quanto divide, e viceversa: la politica divide in quanto unisce. E la politica è dappertutto, è nelle relazioni e nelle scelte quotidiane, nelle parole che usiamo, negli atteggiamenti, nelle lotte di ogni giorno. Il 25 aprile è la sintesi perfetta di questo ossimoro. Il 25 aprile è divisivo? Certo. Ci unisce? Sì. E’ la manifestazione visibile della scelta di parte che ciascuno e ciascuna di noi fa, o tenta di fare, ogni giorno. Il bello è che ognuno la fa a modo suo!

Quest’anno non potremo andare in piazza. Allora vado a recuperare le foto scattate nelle manifestazioni degli anni passati. Memoria è anche questo: non solo la dimensione storica e collettiva ma anche quella personale

Ritrovo questo filmato fatto per momi-z nel 2015. C’è dentro la cronaca, le parole d’ordine di quel momento.  Molte cose sono cambiate, altre sono rimaste. Alcune amicizie si sono rotte, altre si sono consolidate, alte ancora si sono allentate. Alcune persone che ho fotografato le avrei conosciute in quello che allora era il futuro. L’Europa è ancora è sempre più una fortezza: non siamo riuscite e riusciti ad abbattere il muro e migliaia di persone sono morte e continuano a morire nel mar Mediterraneo. Un’atrocità che i nostri cortei non scalfiscono. Expo è passato, il suolo è stato mangiato, l’area non torna a vivere. I tagli al servizio sanitario nazionale sono continuati, in nome dell’austerity, e quanto siano stati sanguinosi lo vediamo oggi “grazie” al Covid19. 

La memoria non va in quarantena e la quarantena rinnova il bisogno di memoria. L’utopia che fu della Resistenza non si spegne. Anche questa sete di stare insieme in piazza diventerà memoria e il prossimo 25 aprile ci ritroveremo con rinnovata gioia a scorrere nello stesso fiume.

Eleonora Cirant

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