La violenza sulle donne ci riguarda! Appello per una manifestazione nazionale di uomini a Milano

La violenza sulle donne ci riguarda! Appello per una manifestazione nazionale di uomini a Milano

Dopo la manifestazione degli uomini a Piacenza il 26 ottobre scorso, anche a Milano saremo in piazza contro la violenza maschile sulle donne. Vogliamo assumerci tutta la responsabilità di dire basta, in prima persona. 

Uomini, abbiamo un problema! Un nostro problema: la violenza sulle donne.

Senza liberazione delle donne, non potremo mai sentirci liberi. Noi rappresentiamo il potere: liberiamocene!

Come genere maschile siamo sempre stati bravi a organizzare guerre, miseria materiale e culturale, distruzione del pianeta. E lo siamo stati ancora di più a opprimere, violentare, uccidere le donne.

Diciamo basta all’usurpazione della loro vita! 

Basta con le false coscienze maschili, che predicano bene, ma nel concreto fanno obiezione contro le scelte femminili.

Dalle suffragiste di primo Novecento alle femministe degli anni Settanta, fino alle lotte più recenti, i movimenti politici delle donne nel passato e nel presente ci hanno chiesto e ci chiedono di cambiare. Per questo nel manifestare contro qualsiasi forma di violenza sulle donne, vogliamo metterci in discussione. 

Siamo per l’uguaglianza economica e per la totale condivisione nella cura di bambin* e anzian*, che oggi è perlopiù superficiale e saltuaria. Rispettiamo e difendiamo le scelte che le donne fanno sul proprio corpo nel loro essere generatrici della vita.

La violenza sulle donne ci riguarda!

Appello per una manifestazione nazionale di uomini a Milano

Abbiamo sempre preteso di gestire noi il potere politico ed economico, come se ci fossimo naturalmente portati: i disastrosi risultati sono sotto i nostri occhi. Per una società migliore, l’unica strada è metterci al loro fianco.

Racconto di Natale

Racconto di Natale

Tutto cominciò con uno stupro di gruppo al Centro cosiddetto sociale sede della rete cosiddetta antifascista di Parma. Quattro stronzi avevano avevano violentato C., una ragazza, per tutta la notte dopo averla resa inerte con vino drogato. Avevano filmato le loro mirabolanti prodezze maschili con un cellulare e avevano diffuso i video, che presero a circolare grazie alla complicità di altri stronzi e stronze, che avevano pure la faccia di merda di definirsi “compagni”. Inizialmente C., annichilita, non aveva osato denunciare i violentatori. Dopo la diffusione del video, la gente che frequentava il posto e che la conosceva l’aveva isolata, affibbiandole un nomignolo mostruoso preso da uno degli oggetti usati per seviziarla. La verità è che incontrando i suoi occhi non potevano fare a meno di provare schifo per se stessi.

Il video penetrò in tutti gli account della rete di contatti del Centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista. Arrivò al cuore, alla pancia, al cervello, all’anima per chi ci crede. Nel vederlo alcune ragazze vomitarono. Certe rimasero con il fiato ghiacciato nella gola e gli occhi annebbiati di orrore. Altre sfogarono con calci e pugni la rabbia accecante. Un ragazzo si sentì il pisello svenire di vergogna, per l’umiliazione di appartenere al sesso maschile non fu più in grado di avere l’erezione, che riottenne solo dopo una psicoterapia. Una ragazza non riuscì a scopare per settimane, perché ogni volta che veniva toccata da un uomo erano le scene del video a propagarsi nella sua mente e nelle sue viscere, paralizzando le anche in un blocco di ferro.

Passò qualche settimana. Il tempo al video di propagarsi, allo shock di rientrare. Rimase la rabbia e una lucida determinazione. Le ragazze del collettivo punk femminista si diedero appuntamento una sera al centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista e lo occuparono. I cosiddetti compagni presenti furono accerchiati e messi davanti al tribunale delle donne. Provarono a tirare fuori i pettorali e le mandibole ma della baldanza fascista non c’era più niente, perché lo stronzo senza il branco non è nulla e un branco non esiste se non contro uno. Quelle erano furibonde, incontenibili, in tante perché insieme. Il branco era ridotto a una manciata di stronzi impauriti. Dell’adrenalina da combattimento che si scatena a contatto con i celerini, nessuna traccia. Di fronte a sé i cosiddetti compagni cosiddetti rivoluzionari non avevano soldati armati di bastone e scudo, ma un muro di femmine inferocite, gridanti, con le vene grosse sul collo e le lingue taglienti, occhi pieni di veleno e unghie che si ficcavano nella carne.

C. era con loro. Erano andate a prendersela a casa, dove stava rannicchiata sotto una coperta di musica battente. L’avevano abbracciata, baciata, coccolata. Avevano pianto insieme a lei. Avevano detto: “adesso andiamo al Centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista, prendiamo i cosiddetti compagni e li appendiamo al muro per i coglioni. Vediamo come si divertono”. Erano furiose, lo avrebbero fatto. Avrebbero voluto scaricare la loro rabbia a colpi di mazze di ferro su quelle teste di falsi compagni, con ancora più rabbia perché quelli osavano definirsi tali.

Poi erano arrivate là, tutte insieme, e avevano deciso di metterli a processo. Il cerchio delle donne si strinse intorno a quelli che stavano lì, non solo i violentatori ma anche gli altri stronzi che il video se l’erano guardato e magari si erano anche fatti le pippe, più altri che, semplicemente, non avevano fatto o detto niente per opporsi. Altre donne che erano in sede se ne tirarono fuori, si piazzarono ai lati e rimasero a guardare, incerte sul da farsi.

Il processo cominciò.

Le donne del cerchio gridavano le loro accuse. C’erano i fatti di quella notte orribile, ma c’erano anche quelli di tutti i giorni prima e di tutti i giorni dopo. Fatti piccoli e fatti grandi. Ognuna di loro aveva un’accusa da rivolgere o una richiesta di spiegazioni. Ora che li mettevano tutti in fila, quei fatti, potevano vederli meglio, dare loro un nome, metterli al mondo dentro una narrazione. Scandagliarono ogni segmento della vita trascorsa insieme ai cosiddetti compagni nel centro cosiddetto antifascista per ciascuna delle cosiddette lotte. Misero a fuoco ogni gesto, ogni parola, ogni processo verbale e non verbale.

Quelli dentro al cerchio non potevano uscire, le donne brandivano armi ed erano furiose, se qualcuno ci provava diventavano violente, mordevano, ficcavano le unghie nella carne, le dita negli occhi, tiravano calci nelle palle. Gli toccava rispondere. Quelli urlarono, ringhiarono, poi balbettarono, poi non seppero più cosa dire. Si ammosciarono come fantocci, privi di senso. Il processo andò avanti tre giorni, senza interruzioni. All’alba del quarto decisero che il processo era concluso. I colpevoli dello stupro furono condannati all’isolamento sociale sotto il marchio dell’infamia. Non ce n’era uno, dei presenti, che ne uscisse con la fedina morale pulita. Per alcuni gagliardi maschietti fu una vera rivelazione trovarsi allo specchio di una virilità malconcia. L’esperienza del centro cosiddetto antifascista fu dichiarata chiusa la notta stessa dello stupro. I locali furono sprangati e le chiavi buttate. Il cerchio si sciolse e ognuna andò a casa sua a riposare dopo la lotta estenuante che era appena avvenuta. C. andò dai carabinieri e denunciò i suoi stupratori.

Uno di loro si era già suicidato buttandosi sotto la metropolitana. Un altro chiese di essere inserito in un programma di recupero per uomini maltrattanti. Il terzo tentò la fuga ma venne bloccato in tempo dagli “sbirri”. Fu incarcerato per qualche anno e poi se ne andò in America latina per fare carriera nel mercato della droga e rimase ucciso negli scontri a fuoco tra bande. Un quarto, che non era indagato, andò ad arruolarsi nell’Isis per poter violentare e sfogare la sua misoginia con chi gli pareva a lui, senza rotture di coglioni. Venne sgozzato da un confratello nel corso di una disputa.

C. e le altre andarono avanti. La forza del cerchio non si disperse, anche se le strade si divisero. Qualche anno dopo alcune tornarono al centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista e fecero saltare le porte. Diedero aria, fecero pulizia e lo riabilitarono. Lo riempirono delle loro idee e della loro creatività. Nascevano dei progetti, si facevano delle cose. C’erano anche i maschi. Tutti quanti insieme avevano preso l’abitudine di sedersi in cerchio per rovistarsi dentro in cerca di pattumiera fascista. Ogni volta ne trovavano briciole. Ma erano sempre più piccole.

Eleonora Cirant

Nota. Lo stupro alla rete cosiddetta antifascista di Parma è accaduto realmente. Il resto di questo racconto è di fantasia, mentre è reale la presa di posizione del collettivo Romantic Punx.

Immagine: “Giuditta e Oloferne”, di Artemisia Gentileschi.

 

L’orda dei tafani

L’orda dei tafani

Antica e oscura cospirazione della moralità altrui, assembramenti family-day scimmiottano l’Isis nella ferrea legge di un califfato de-noialtri. Non sono che gli ultimi scampoli scongelati dell’oscurantismo e questa volta il nemico da abbattere è il gender.

E’ la contro-rivoluzione dei sedentari, che dopo avere anestetizzato i cervelli invadono studi televisivi e scranni parlamentari in difesa delle proprie convinzioni paleolitiche, con cialtroneggiamenti in teorie codarde per allietare le vedove di “Vrindavan”.

Corpi in espansione smarriti in ambienti post-industriali, grassi in accumulo, obesi per necessità di antica fame sessuale. La felicità come vergogna, in mezzo a tanta miseria. Chiusi in gabbie d’agonia si cade nell’umanità inutile, nella superflua necessità della vita. Così si consuma nel deserto di senso, dove disseppellire l’angoscia del nulla.

Stati d’animo senza tempo, ospiti inquietanti delle depressioni che spezzano le corazze dell’ipocrisia. Folli giovanili attraversano i deserti del disagio senza ottenere risposte. Parcheggiati ovunque, vittime del proprio disagio.

Frange di casapoundisti trovano spazio nelle corali razziste, a rispolverare il vecchio armamentario di stampo nazista, mentre il Titanic Europa affonda nello sterco dell’economia finanziaria e l’antica Ellenia si erge orgogliosa nel tentativo di difesa dell’ultima umanità.

Accomunati nell’egoismo della ricchezza a scapito dei popoli indifesi d’Africa, sono tutti lì i rappresentanti del nuovo ordine mondiale, decisi a sterminare popoli in un nuovo colonialismo. F. M. I., Banca mondiale, Emergent, piazzate ai primi posti nell’esproprio di terre di contadini senza diritti. Sono i principali colpevoli dell’espulsione di intere popolazioni africane. Questa catastrofe cercata, pianificata dall’un per cento dell’intera popolazione mondiale non sarà salvata con armi di distruzione.

L’Armageddon finale travolgerà tutto e chiuderà la partita.

 

A. Montanaro

1 maggio 2015, l’altro corteo

1 maggio 2015, l’altro corteo

Eravamo decine di migliaia al corteo di Milano

decine di migliaia eravamo, oggi primo maggio 2015

festa dei lavoratori e delle lavoratrici

Da anni a Milano ogni primo maggio per dire no

al precariato, allo sfruttamento, al potere della finanza e delle multinazionali

per dire sì al diritto

al lavoro dignitoso, al lavoro non alienante,

alla casa, a ricevere cure nel bisogno, alla trasmissione del sapere, alla cultura.

Oggi, primo maggio 2015

eravamo a decine di migliaia

per dire No Expo

Per denunciare che Expo è

lavoro precario, lavoro che toglie dignità

18500 volontari non pagati

apprendisti, stagisti, lavoratori e lavoratrici di paesi stranieri e a tempo determinato.

No Expo, perché

i contratti Expo 2015 firmati da tutti i sindacati confederali e le istituzioni sono stati il precedente del Jobsact

Cosa succede con il Job’s Act?

– i contratti a termine possono durare fino a 36 e possono essere prorogati fino a 8 volte

– raddoppia la percentuale dei contratti a termine stipulabili da un datore di lavoro sul totale dei lavoratori

– coi contratti di apprendistato il datore di lavoro non è più obbligato a riassumere

– cade il principio di non discriminazione tra i diversi contratti – do you rimember guerra tra poveri?

– la retribuzione per gli studenti in apprendistato scende al 35% di quella ordinaria

Perché Expo è 1600 ettari di territorio fertile cancellati per costruire autostrade inutili e nocive

perché è bonifiche mancate

perché è ricorso smodato agli appalti in assegnazione diretta

perché è un esperimento di governo del territorio che mira ad accentrare poteri, istituire eccezioni,

una anticipazione del decreto SbloccaItalia.

No Expo perché è una eurodisney gastronomica.

C’era tutto questo nel nostro corteo, e tanto altro.

Musica, bambini e bambine, voglia di appartenenza.

C’era un popolo, forse.

E c’era anche qualche centinaio di adolescenti frustrati e rabbiosi

ma rabbiosi di una rabbia senza sbocco

la rabbia provocatrice e autolesionista

di chi non ha strumenti né argomenti.

Incappucciati di nero, come squadre che sollecitano ricordi raccapriccianti

figli e figlie di famiglie borghesi

Ragazzini che gli piace giocare alla guerra, per sentirsi

virili

importanti

visibili

Che grandi machi! Domani torneranno nelle loro stanzette, tra Ipod e tostapane

con mamma che gli lava le mutande e gli stira la maglietta.

A noi rimane

un’occasione persa,

e i nostri contenuti sparpagliati tra i cocci delle vetrine di qualche banca

(le assicurazioni pagheranno e in due giorni sarà tutto come prima).

I cocci di una parodia di guerriglia urbana

che di rivoluzionario non ha nulla

ma proprio nulla.

 

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