. Dove giacciono alla rinfusa i miti e gli abbagli e le illusioni di un passato prossimo ancora bollente di tutte le riforme mai realizzate, che hanno lasciato i cittadini come galline a lutto, singhiozzanti e piangenti, disperati come nei fumetti comix tanto di moda.
I sintomi del Medioevo si riconoscono facilmente nella vita italiana.
I primi e più importanti li vediamo soprattutto ov’è questione di vessazioni corporative, di sfide di logge massoniche, vendette fra clan mafiosi e politici, che è la stessa cosa. Siamo sempre in procinto di credere di cadere in immensi complotti dal sapore rinascimentale, con motivazioni nefande e doppi fini inconfessabili… mentre avanza una continua lottizzazione e burocratizzazione del paese, come ognuno sa, di ogni aspetto della vita culturale… con infinite dicussioni dai risultati miserevoli.
Istituzioni culturali gestite come trampolini per fini di potere affaristico, come se fossero società di import-export o aziende di raccolta rifiuti. Un’Italia affollata da poeti e intellettuali di tipo “creativo” organico… cioè organizzatori-organizzati di consenso.
Siamo invasati nei grandi sogni di noi stessi, scambiandoci per grandi guerrieri conquistatori, grandi imprenditori (con aiuti statali), grandi pensatori, per poi risvegliarci ogni volta disoccupati o precari manuali all’estero.
Separatezze, intolleranze, steccati, recinti da pollaio o da “corral” continuano nella nostra cultura provinciale-casalinga, rendendola ridicola, con la nostra storica vivacità che sembra perduta nella risacca dei compromessi.
Siamo al contempo specialisti del vilipendio, degli anatemi giornalieri contro avversari politici e non. Nel lessico dei giornali e della TV pubbliche e private imperversa la diffamazione laida con utenza religiosissima, così si esprimono questi funzionari della propaganda e burocrati del conformismo, rotelline di un sistema peggio del fascismo. Che torna a proposito in questi ultimi tempi sempre più presente.
Vecchio vizio italiano della tragedia che ci insegue di continuo, inutile fare finta di niente, il fascismo è nelle viscere del populismo italico sotto mentite spoglie, che si chiami Salvini o Grillo prima o poi arriva il ducetto di turno… basta seguire l’onda.
Basta osservare la miriade di gruppi che si dichiarano esplicitamente fascisti, senza che nessun giudice li incrimini come è sancito dalla Costituzione.
In attesa del prossimo futuro nero la maggioranza dei democratici si guarda l’ombelico che cresce.
Siamo un grande paese fallito, affetti da bambinismo, sport come violenza, politica corrotta, industrie fallimentari, colossali sprechi, rifiuto del concreto, rigetto dell’esistente, energie in polluzione onirica.
Un grande paese immaginario; come il malato?
In un paese che produce solo “merda” sarà spregiudicato e simpatico l’umorismo dei nuovi comici tipo 5 stelle, che apre le tombe della politica e ci mette dentro un po’ di merda. Come i saggisti che analizzano la merda d’Italia anche se sono le stesse merde di sempre, da tempo immemorabile.
Bisogna tirar via questa glassa che ricopre la carne dei cittadini, ovattata patinata merda uniforme, dal sapore uniforme. Un filo di qualsiasi “colore” lega il Bovarismo e il Bouvardismo (Pécuchetismo) al Karl-Krausismo: la fascinazione della stronzaggine contemporanea: dover difendere in nome di nobili principi esempi e modelli di ignobiltà tra filibustieri. La KulturKritik dovrebbe poter mettere a nudo i luoghi comuni e smascherare le perversioni del BLA BLA contemporaneo. Scrostare via la glassa.
Poi ci sono gli intellettuali lucertole con le scarpe di Teramene che si adattano ad ogni piede, intervistati e interpellati in ogni momento per illudere la collettività, frequentatrice di seminari e affini, con i vezzi stagionali e con riempitivi del tempo della noia. Quindi grande merito a queste Wande Osiris lucertola per aver aiutato il paese a ritrovare la propria identità più autentica, fatta (storicamente) di sgangheratezza e ferocia (nonché di meschinità, come scrive Gramsci)… oppure rei della più grande fra le colpe antropologiche, l’aver collaborato a trasformare una nazione ancora umana e civile in una topaia cannibalesca e impazzita praticando la dissimulazione pretesca di fingersi uomini di fede sculettando in segreto come signorine grandi firme.
E’ l’Italia dell’inefficenza, dell’impotenza, dell’indolenza, della rissosità, del vittimismo, dell’intolleranza, della prepotenza, della cialtroneria descritta sempre identica da Dante e da Gramsci, con la formula della rivoluzione “a venire”; che coniugando Lenin a Papa Francesco sembra voler prendere con una sola fava “no problem” tutti i piccioni degli snobismi di massa, nella giocosa esistenza di scarabei felici per la pallina di sterco giornaliero.
Angelo Montanaro
Image: ‘untitled‘ www.flickr.com/photos/68862107@N00/9257395375 – Found on Flickrcc.com
Tutto cominciò con uno stupro di gruppo al Centro cosiddetto sociale sede della rete cosiddetta antifascista di Parma. Quattro stronzi avevano avevano violentato C., una ragazza, per tutta la notte dopo averla resa inerte con vino drogato. Avevano filmato le loro mirabolanti prodezze maschili con un cellulare e avevano diffuso i video, che presero a circolare grazie alla complicità di altri stronzi e stronze, che avevano pure la faccia di merda di definirsi “compagni”. Inizialmente C., annichilita, non aveva osato denunciare i violentatori. Dopo la diffusione del video, la gente che frequentava il posto e che la conosceva l’aveva isolata, affibbiandole un nomignolo mostruoso preso da uno degli oggetti usati per seviziarla. La verità è che incontrando i suoi occhi non potevano fare a meno di provare schifo per se stessi.
Il video penetrò in tutti gli account della rete di contatti del Centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista. Arrivò al cuore, alla pancia, al cervello, all’anima per chi ci crede. Nel vederlo alcune ragazze vomitarono. Certe rimasero con il fiato ghiacciato nella gola e gli occhi annebbiati di orrore. Altre sfogarono con calci e pugni la rabbia accecante. Un ragazzo si sentì il pisello svenire di vergogna, per l’umiliazione di appartenere al sesso maschile non fu più in grado di avere l’erezione, che riottenne solo dopo una psicoterapia. Una ragazza non riuscì a scopare per settimane, perché ogni volta che veniva toccata da un uomo erano le scene del video a propagarsi nella sua mente e nelle sue viscere, paralizzando le anche in un blocco di ferro.
Passò qualche settimana. Il tempo al video di propagarsi, allo shock di rientrare. Rimase la rabbia e una lucida determinazione. Le ragazze del collettivo punk femminista si diedero appuntamento una sera al centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista e lo occuparono. I cosiddetti compagni presenti furono accerchiati e messi davanti al tribunale delle donne. Provarono a tirare fuori i pettorali e le mandibole ma della baldanza fascista non c’era più niente, perché lo stronzo senza il branco non è nulla e un branco non esiste se non contro uno. Quelle erano furibonde, incontenibili, in tante perché insieme. Il branco era ridotto a una manciata di stronzi impauriti. Dell’adrenalina da combattimento che si scatena a contatto con i celerini, nessuna traccia. Di fronte a sé i cosiddetti compagni cosiddetti rivoluzionari non avevano soldati armati di bastone e scudo, ma un muro di femmine inferocite, gridanti, con le vene grosse sul collo e le lingue taglienti, occhi pieni di veleno e unghie che si ficcavano nella carne.
C. era con loro. Erano andate a prendersela a casa, dove stava rannicchiata sotto una coperta di musica battente. L’avevano abbracciata, baciata, coccolata. Avevano pianto insieme a lei. Avevano detto: “adesso andiamo al Centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista, prendiamo i cosiddetti compagni e li appendiamo al muro per i coglioni. Vediamo come si divertono”. Erano furiose, lo avrebbero fatto. Avrebbero voluto scaricare la loro rabbia a colpi di mazze di ferro su quelle teste di falsi compagni, con ancora più rabbia perché quelli osavano definirsi tali.
Poi erano arrivate là, tutte insieme, e avevano deciso di metterli a processo. Il cerchio delle donne si strinse intorno a quelli che stavano lì, non solo i violentatori ma anche gli altri stronzi che il video se l’erano guardato e magari si erano anche fatti le pippe, più altri che, semplicemente, non avevano fatto o detto niente per opporsi. Altre donne che erano in sede se ne tirarono fuori, si piazzarono ai lati e rimasero a guardare, incerte sul da farsi.
Il processo cominciò.
Le donne del cerchio gridavano le loro accuse. C’erano i fatti di quella notte orribile, ma c’erano anche quelli di tutti i giorni prima e di tutti i giorni dopo. Fatti piccoli e fatti grandi. Ognuna di loro aveva un’accusa da rivolgere o una richiesta di spiegazioni. Ora che li mettevano tutti in fila, quei fatti, potevano vederli meglio, dare loro un nome, metterli al mondo dentro una narrazione. Scandagliarono ogni segmento della vita trascorsa insieme ai cosiddetti compagni nel centro cosiddetto antifascista per ciascuna delle cosiddette lotte. Misero a fuoco ogni gesto, ogni parola, ogni processo verbale e non verbale.
Quelli dentro al cerchio non potevano uscire, le donne brandivano armi ed erano furiose, se qualcuno ci provava diventavano violente, mordevano, ficcavano le unghie nella carne, le dita negli occhi, tiravano calci nelle palle. Gli toccava rispondere. Quelli urlarono, ringhiarono, poi balbettarono, poi non seppero più cosa dire. Si ammosciarono come fantocci, privi di senso. Il processo andò avanti tre giorni, senza interruzioni. All’alba del quarto decisero che il processo era concluso. I colpevoli dello stupro furono condannati all’isolamento sociale sotto il marchio dell’infamia. Non ce n’era uno, dei presenti, che ne uscisse con la fedina morale pulita. Per alcuni gagliardi maschietti fu una vera rivelazione trovarsi allo specchio di una virilità malconcia. L’esperienza del centro cosiddetto antifascista fu dichiarata chiusa la notta stessa dello stupro. I locali furono sprangati e le chiavi buttate. Il cerchio si sciolse e ognuna andò a casa sua a riposare dopo la lotta estenuante che era appena avvenuta. C. andò dai carabinieri e denunciò i suoi stupratori.
Uno di loro si era già suicidato buttandosi sotto la metropolitana. Un altro chiese di essere inserito in un programma di recupero per uomini maltrattanti. Il terzo tentò la fuga ma venne bloccato in tempo dagli “sbirri”. Fu incarcerato per qualche anno e poi se ne andò in America latina per fare carriera nel mercato della droga e rimase ucciso negli scontri a fuoco tra bande. Un quarto, che non era indagato, andò ad arruolarsi nell’Isis per poter violentare e sfogare la sua misoginia con chi gli pareva a lui, senza rotture di coglioni. Venne sgozzato da un confratello nel corso di una disputa.
C. e le altre andarono avanti. La forza del cerchio non si disperse, anche se le strade si divisero. Qualche anno dopo alcune tornarono al centro cosiddetto sociale cosiddetto antifascista e fecero saltare le porte. Diedero aria, fecero pulizia e lo riabilitarono. Lo riempirono delle loro idee e della loro creatività. Nascevano dei progetti, si facevano delle cose. C’erano anche i maschi. Tutti quanti insieme avevano preso l’abitudine di sedersi in cerchio per rovistarsi dentro in cerca di pattumiera fascista. Ogni volta ne trovavano briciole. Ma erano sempre più piccole.
L’assalto al treno ha lasciato sul terreno molti feriti e morti, tutti i clan hanno fatto dichiarazioni trionfalistiche circa il bottino guadagnato dall’assalto.
I feriti al primo assalto verranno premiati al secondo, sotto forma di presidenze di commissioni, di enti, insomma il sotto-governo.
Il bulletto nazionale ha fatto dichiarazioni devianti dalla realtà.
Malgrado il pessimismo nazionale, il partito dell’astensione ha prevalso. Ancora una volta i fatti dimostrano quanta lontananza c’è tra la politica e i cittadini.
Hanno calcato la scena vecchi politicanti corrotti, riciclati nelle liste delle milizie cittadine. Tutto il variegato mondo delle clientele si è scatenato in uno storytelling inedito, destra e sinistra allo stesso modo.
Tutti a promettere paradisi artificiali per il futuro prossimo. Sul terreno della pubblicista si sono viste situazioni inenarrabili, con dibattiti televisivi a senso unico e sacralizzati nel pensiero unico renziano. Nessun programma che riguardi i cittadini e le loro esigenze, tutto sparito nel bailamme del non-linguaggio.
Siamo in una deriva esistenziale pericolosa, con l’Europa in declino di democrazia e forze reazionarie che emergono da un oscuro passato.
Nell’attesa del Brexit prossimo futuro non c’è da rallegrarsi. Prepariamoci al naufragio.
Dalle riserve indiane non arrivano segnali di fumo che possano rassicurare, non si sentono tamburi di guerra provenienti da quelle parti.
Dal vicino medio oriente i nuovi Rais non promettono niente di buono, nessuna pace in vista per i prossimi anni a venire.
Affogheremo nel nostro vomito egoista, per non riscattarci dalla nostra miseria umana.
Come sempre, come popolo siamo attratti da un piatto di pane e lenticchie. Nessuna speranza per le generazioni future, visti i risultati di queste elezioni.
Siamo in attesa del referendum di ottobre, dove sono in gioco quel poco di diritti che ci sono rimasti.
Siamo andati al presidio di venerdì 3 luglio a Milano a sostegno del NO al referendum proposto dal governo greco. Abbiamo chiesto ad alcuni tra partecipanti e organizzatori di raccontarci le proprie ragioni e aspettative. Un cittadino greco evidenzia in modo particolare come le istituzioni greche stiano minacciando il popolo greco e come le televisioni private ne sostengano la propaganda. E come questo scenario non sia affatto lontano da noi.