Le belle statuine
d’oro e d’argento
che costan cinquecento…
La prima volta che appaiono sul palco arrivano a due a due, attente a non cadere dai trampoli e a non inciampare negli improbabili svolazzi da “dive per una sera”. Si ringrazia lo sponsor che ha curato abiti e accessori.
La regia vuole che si dispongano in terzetti o in coppie, con le braccia a formare ghirlande e mezzelune, come uscite da una vecchia stampa degli anni Venti. In faccia indossano un sorriso tradito da turbolenze interiori. L’ansia di materializzare il proprio corpo davanti a mille sguardi, l’eccitazione dei fari che premono sulla pelle, la paura di rimanere per sempre nell’ombra. Fasciate come uova di pasqua, trucco e parrucco della premiata ditta. Si ringrazia lo sponsor.
Brillano sotto i riflettori come i pesci al sole del mercato rionale del sabato mattina. Carne fresca, guizzante. Occhio lustro. Sono qui in cambio di una speranza, “arrivare a Iesolo”, la finale di Miss Italia. Alla vincitrice del concorso nazionale si apriranno le porte dello spettacolo, il castello fatato: successo, ricchezza e notorietà. Una ci prova, diamine. Stasera, a Monopoli, si elegge Miss Puglia, e da qui, forse… Ora, però, è il momento di ringraziare lo sponsor. Anzi, gli sponsor.
La trafila dei ringraziamenti dura quasi un’ora. L’intera serie degli sponsor della finale pugliese di Miss Italia viene ripetuta dalla voce in altoparlante per almeno un’ora, mentre spettatori e spettatrici prendono posto sulle sedie attrezzate nella piazza di Monopoli. La maggioranza tra il pubblico sono i parenti delle vittime, in quanto le aspiranti Miss arrivano da tutta la regione con il codazzo di genitori, fratelli e sorelle, zii, zie, nonni e nonne, nipotini e nipotine. Altra gente si presenta sulla soglia della platea stringendo il biglietto in mano. Coppie anziane, per lo più, ma anche qualche famiglia standard. Le signore traboccano nei vestiti, agitano il ventaglio, troneggiano sulle sedie da festa popolare, si guardano intorno per vedere chi c’è. Annusano l’aria in cerca di vips come cani segugio. Domani ci sarà qualcosa di cui parlare. Una striscia di plastica delimita il parterre dal resto della piazza, dove quelli senza biglietto piantano radici con il muso rivolto al palco dove è stata montata anche la postazione televisiva di un’emittente tv.
Ma finalmente si comincia. Esce la presentatrice, avvolta nel domopack. Prima che entrino le Miss bisogna ringraziare gli sponsor. Questa fase dura parecchio. Coi piedi indolenziti, guardo preoccupata le signore col ventaglio, ho paura che si squaglino nell’aria calda.
In prima fila c’è la giuria composta da gente dello Spettacolo. C’è anche il solito assessore. Lo hanno intervistato. Forse gli hanno chiesto qual è il tasso di occupazione femminile di Monopoli. Oppure, quanti soldi ha stanziato quest’anno il Comune per il centro anti-violenza della città. Ah già, a Monopoli non c’è un centro anti-violenza. Bisogna andare a Conversano. Manca pure il consultorio. C’era, una volta. Altri tempi.
“Miss Italia è un gioco e un sogno”. Dice la donna-pesce dal palco. Le squame luccicano sotto i riflettori. “Miss Italia è il sogno di tutte le ragazze, come dimostra il fatto che siamo alla settantacinquesima edizione”. Mi guardo intorno, nel pubblico. Ragazze ce ne sono poche qui, a dire il vero. L’età media è alta, poco ci manca ai settantacinque, appunto. I giovani sono altrove, nei locali di tendenza che punteggiano la costa, oppure al festival rock che si svolge in questo momento a due passi dalla piazza, a Porta vecchia. Pare che non guardino molto la tv, i giovani, che preferiscano smanettare su facebook. Miss Italia è roba per vecchie signore?
In ogni caso non se ne sono accorte le belle che palpitano sotto i riflettori. Abbiamo parlato con qualcuna di loro, nel pomeriggio. Abbiamo fatto qualche domanda: “Qual è il tuo obiettivo?”: “Entrare nello spettacolo”. “Che cos’è la bellezza?”: “ …” “una carta di presentazione, una possibilità”. “Quale messaggio vorresti dare al pubblico, in questa occasione di visibilità?” “…” “…” “chi la dura la vince”. Chi l’ha dura là vince, tesoro. Nel palazzo in cui vorresti entrare si parla una sola lingua, e non è l’italiano. No, neanche l’inglese.
Ora escono dalla fila a due a due, ancheggiano verso il centro del palco, si fermano e sporgono un ginocchio. Poi avanzano fino ad arrivare sul proscenio, una mano sul fianco. Lanciano sguardi seducenti come frecce scagliate a casaccio, nel cielo o sul pubblico. Quanti colpi sprecati. Qualcuna guarda davvero davanti a sé, ci vede, noi che guardiamo, cogliendoci alla sprovvista: si beve il pubblico tutto d’un fiato, è felice, sta scattando un’istantanea mentale. Dopo avere ammiccato, le belle girano sul tacco dodici e offrono la schiena al nostro sguardo. “Hai una schiena e la tua schiena comunica come il tuo volto”: così insegnano a scuola di teatro. Quelle che vedo sul palco non sembrano parlarmi. Portano le braccia legate ai fianchi da corde invisibili, tutte uguali. Solo una conquista lo spazio intorno a sé, occupa un volume, dice qualcosa: è bella.
Cos’è la bellezza?
Qualunque cosa sia, non la trovo qui. Non in questa triste e illusoria pescheria.
E. Cirant
Image: 'Yummie fish.....?' Found on flickrcc.net