Siamo in un tempo senza domani, dove il futuro è chiuso e il passato ha le sembianze di un futuro anteriore.

Viviamo nella xenofobia, nella paura per tutto ciò che è diverso, nell’odio a priori l’altro, il diverso, e tutto ciò che rappresenta.

Quando la volontà di dominare il “futuro peggiore” prevale, allora l’ansia e l’angoscia si caricano di apprensione e non c’è spazio per l’idea di una umanità in cui marciando insieme verso obiettivi comuni possiamo migliorare la nostra sorte.

Nella privatizzazione del futuro, che è fonte di angoscia e di violenza, ciascuno coltiva la propria utopia, fatta di chimere e di successo, ricchezza e prestigio. Ma una volta svelato l’inganno appaiono le promesse narcisistiche e i vuoti vagheggiamenti che si rivelano essere fantasie bugiarde.

Il tardo capitalismo ci sta portando al collasso ecologico planetario e di questa età antropocenica osserviamo gli effetti devastanti e mortiferi in cui la natura è stata devastata (scompariremo noi, non lei).

E’ la sconfitta della politica che ha perduto ogni dimensione salvifica, ridotta a governare il presente senza un domani, assecondando gli eventi, cavalcando l’onda del capitalismo dove i sogni si trasformano in incubi.

Così sembra più facile figurarsi la fine del mondo, piuttosto che la fine del capitalismo.

A questo punto il capitalismo, occupando tutto l’orizzonte, ha assorbito ogni resistenza, cancellando passato e futuro, portandoci nel buio dell’apocalisse.

Cosa si prefigura? La trasformazione dell’umano in trans-umano, con l’invenzione finale che trasferisce in un software l’identità e l’accesso all’immortalità tecnologica, sull’orlo del buco nero, quando già non abiteremo il pianeta terra, ritirati nelle giungle di sopravvivenza post-umane come il colonnello Kurtz nel film Apocalypse now.

A. Montanaro

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