Oggi non potremo andare in piazza per il rito laico che ci accomuna, il rito che da 75 anni rinnova e consolida la comunità antifascista in tutte le città e i paesi d’Italia. Se il rito è la comunità in azione (Durkheim), il 25 aprile resta ancora oggi quell’unità di tempo e luogo in cui le soggettività politiche democratiche si ricompongono nella messa in azione dei propri simboli e in cui la memoria si manifesta come urgenza di azione nel presente. Il 25 aprile è il giorno in cui la babele antifascista sembra parlare con una sola lingua.
Milano è la città dove più forte è il senso e la partecipazione collettiva nel giorno in cui celebriamo la sconfitta del nazi-fascismo, la fine della dittatura, lo schiudersi della possibilità democratica e dell’utopia. Sono proprio la dimensione del possibile e dell’utopia a spingerci fuori, annodando per un giorno insieme la memoria, il presente, il futuro.
E’ anche il giorno in cui le tante voci spesso dissonanti della sinistra si uniscono a formare un coro. Dico “la sinistra” pur consapevole che la Resistenza è stata comunista, socialista, repubblicana, liberale e cattolica, e che è stata anche la resistenza civile di tante donne e uomini senza bandiera. Ma alle sue radici l’antifascismo è rosso, e tra le famiglie politiche è stata soprattutto quella di sinistra a tramandarne la memoria. Ma comunque, se dico 25 aprile dico “sinistra” perché la sinistra è casa mia, perché vivo con sofferenza la parcellizzazione senza fine delle sinistre in un presente in cui il gioco democratico ha preso regole del tutto diverse da quelle che avrebbero potuto immaginare le partigiane e i partigiani.
Il 25 aprile, e solo il 25 aprile, è il giorno in cui andiamo in piazza e ci incontriamo. Non solo le più militanti, ma tutte e tutti! Il 25 aprile è il giorno in cui ti rivedi dopo un anno, o dopo anni, in cui riannodi i fili delle vite che nel frattempo si erano dispersi, in cui ti scopri più vecchia guardando il volto invecchiato delle persone che ritrovi. Siamo qui, ci siamo ancora, abbiamo qualcosa in comune che è un’idea – un ideale – di come stare insieme, formando una comunità: questo siamo il 25 aprile.
Non che sia una convivenza a-conflittuale, tutt’altro. Il 25 aprile è anche il luogo della contestazione, delle polemiche, del fare a gara tra gli spezzoni per la posizione nel corteo. Il giorno in cui magari anche ritrovi persone che non hai più il piacere di incontrare: perché l’amicizia si è rotta, perché le strade si sono separate, perché la storia d’amore è finita. Allora ti giri di spalle, guardi altrove, e dovunque ti giri trovi altri, diversi e simili. Siamo comunque dentro allo stesso fiume di vite che scorre lungo le arterie della città trasformandone il volto e questo porta gioia, di per sé.
La politica unisce in quanto divide, e viceversa: la politica divide in quanto unisce. E la politica è dappertutto, è nelle relazioni e nelle scelte quotidiane, nelle parole che usiamo, negli atteggiamenti, nelle lotte di ogni giorno. Il 25 aprile è la sintesi perfetta di questo ossimoro. Il 25 aprile è divisivo? Certo. Ci unisce? Sì. E’ la manifestazione visibile della scelta di parte che ciascuno e ciascuna di noi fa, o tenta di fare, ogni giorno. Il bello è che ognuno la fa a modo suo!
Quest’anno non potremo andare in piazza. Allora vado a recuperare le foto scattate nelle manifestazioni degli anni passati. Memoria è anche questo: non solo la dimensione storica e collettiva ma anche quella personale.
Ritrovo questo filmato fatto per momi-z nel 2015. C’è dentro la cronaca, le parole d’ordine di quel momento. Molte cose sono cambiate, altre sono rimaste. Alcune amicizie si sono rotte, altre si sono consolidate, alte ancora si sono allentate. Alcune persone che ho fotografato le avrei conosciute in quello che allora era il futuro. L’Europa è ancora è sempre più una fortezza: non siamo riuscite e riusciti ad abbattere il muro e migliaia di persone sono morte e continuano a morire nel mar Mediterraneo. Un’atrocità che i nostri cortei non scalfiscono. Expo è passato, il suolo è stato mangiato, l’area non torna a vivere. I tagli al servizio sanitario nazionale sono continuati, in nome dell’austerity, e quanto siano stati sanguinosi lo vediamo oggi “grazie” al Covid19.
La memoria non va in quarantena e la quarantena rinnova il bisogno di memoria. L’utopia che fu della Resistenza non si spegne. Anche questa sete di stare insieme in piazza diventerà memoria e il prossimo 25 aprile ci ritroveremo con rinnovata gioia a scorrere nello stesso fiume.
Eleonora Cirant