Parto con un biglietto chilometrico vinto in una gara di scacchi. Il treno parte alle h. 20,30 in punto.
Ho preparato un bagaglio leggero. Soltanto l’indispensabile in uno zainetto.
Non ho scelto una destinazione precisa, vado verso sud fino all’ultima stazione. Scelgo uno scompartimento meno affollato per sistemarmi.
Finalmente si parte dalle terre alte del Triveneto per la Lombardia e il Piemonte attraversando tutta la Padania.Ogni vagone ospita persone con caratteristiche varie, un microcosmo di gente che nessuna statistica potrebbe mettere insieme così casualmente.
Vagoni cosmopoliti affollati di studenti, operai, con aggiunti extracomunitari: ucraini, rumeni, albanesi, filippini, cinesi, di tutte le età e sesso. Ci sono combriccole di conoscenti, ma per la maggior parte è gente anonima, che non si conosce, che una volta terminato il viaggio non si vedrà più e quindi si sente libera di dire ciò che gli passa per la mente. Infatti dalle chiacchiere si capisce che per quanto possa essere cosmopolita è soprattutto italiana. Vera, tipica, profondamente e disinvoltamente razzista.
Si discute con stereotipi e luoghi comuni e se ne inventano di nuovi. Slogan e linguaggio televisivo, certezze per sentito dire, citazioni di autorevoli intellettuali mai sentiti.
Poi tutto torna alla calma, ma solo per un momento, e il fascismo intimo degli italiani si mescola con la compiacenza nei riguardi della Lega.
Si continua con l’insofferenza per gli altri, le maldicenze e tutte le schifezze che TV e radio locali riversano nelle teste degli ascoltatori.
Tutti si aggregano attorno all’idea del più forte o alla personalità prevalente che è in genere quella che mostra di essere a conoscenza di fatti veri.
Intanto il treno corre veloce, con soste brevi nelle stazioni, cambiando continuamente viaggiatori e così tutto ricomincia daccapo.
Lasciamo il Triveneto, dove non ho fatto altro che dormire, e mi sveglio mentre entriamo in Lombardia. Dal brodo leghista ci tuffiamo in quello berlusconiano.
I nuovi viaggiatori accettano tutto e scusano tutto e non si curano di ciò che può mettere in discussione la figura del loro leader.
E’ un vociare continuo. Dagli attacchi ai magistrati agli insulti contro Travaglio-Santoro e Crozza-Ballarò, si snocciola il racconto iperreale del berlusconismo. Sono i propagandisti volontari  e i rimbalzisti in viaggio continuo, ripetitori degli psico-racconti  degli alfano-ghedini, cicchitto-capezzone, letta-bondi, gasparri-quagliarello, la russa-storace, collegati continuamente via satellite con minzolinella. Bravi vibrioni a moltiplicare le frasi, le espressioni, la mimica e i giudizi-pregiudizi  del sentito in Rai.
Il mito del presidente percorre tutto il treno: il presidente che ha fatto tutti i mestieri, da cantante a impresario, da barzellettiere a industriale, da seduttore a scopatore. Statista perseguitato dai comunisti, amicissimo di Putin, Lukascenco e Gheddafi.
Tutto il racconto nel treno diventa modello di ideologia politica del Bene contro il Male.
Prima di arrivare alla stazione centrale di Milano un omone spiega con aria compiacente e minacciosa che tutto quello che si attribuisce a Berlusconi è “Penalmente Rilevante”.
Mentre spiega la sua teoria molla una bolla d’aria mefitica che infesta il treno.
Il giorno dopo parto per Genova alla volta del mediterraneo ligure e di colpo tutto cambia.
I nuovi viaggiatori sembrano più sobri, l’umanità è sempre la stessa: studenti, lavoratori portuali pendolari, extracomunitari e altri.
Piove e sembra che la giornata non prometta nulla di buono. Un marinaio racconta dei suoi viaggi in un’atmosfera annoiata, poi cambiando tono e racconto introduce un sonoro: “Berlusconi ci hai rotto i c……ni!”, mettendo l’accento sulla rima.
L’effetto è drammaticamente sorprendente, dopo un attimo di imbarazzo i passeggeri prendono a dire “E’ vero, non se ne può più!”.
Uno che fino al giorno prima affermava che chi è stato eletto dal popolo ha diritto a strafarsi di viagra e puttane. Un altro rincara la dose dicendo: “A questo punto è meglio Vendola”.
“Ma quello è frocio” azzarda timidamente un altro ancora. “Embè? Anche un frocio al posto del Berlusca mi sta bene” risponde il primo. Tutti si trovano d’accordo.
Ogni viaggiatore tira fuori il proprio lato nascosto e riservato. “Ma proprio con una marocchina minorenne  si doveva far incastrare” dice un tipo tutto tatuato. “E le regala un sacco di soldi nostri” incalza un altro.”Noi le raccogliamo dal mare e lui se le porta a letto” commenta un altro.
“Ci piglia tutti per il culo” risponde un operaio Enel. “La moglie aveva ragione” dice una filippina.
E così via fino al fatidico. “Ho fatto bene io a non votarlo”.
Come un’onda catartica si scopre sul treno che nessuno ha votato Berlusconi e l’unico che lo ha fatto in realtà era stato costretto dalla moglie e dalla figlia prima che lo piantassero “quelle zoccole”.
Dopo l’Emilia riparto per Bologna e la Romagna per proseguire verso Firenze. Fedele alla propria natura equilibratrice il treno si riempe di nuovi passeggeri di varia umanità. Inizia un nuovo racconto: “La sinistra non è l’alternativa”, “Se Berlusconi fa schifo cosa si deve dire di Marrazzo che andava a froci e coca con l’auto blu?”.
Sembra che il problema sia l’auto blu e la filosofia del “così fan tutti” con la conseguenza che nessuno può essere perciò imputato di reati, perché i reati non sono più tali.
E’ l’applicazione estensiva del “tu quoque” da parte di giornali della famiglia Berlusconi contro i critici, da caso Boffo al caso Fini. Il killeraggio e la falsificazione sono l’apoteosi dell’anima fascista e piduista del governo.
Sono discorsi e racconti molto forti da queste parti..
Mentre attraversiamo pianure con allevamenti di suini e stabilimenti di prosciutti e parmigiani si intravedono le fabbriche della Parmalat e giù commenti sul crac dei falsi bond che hanno rovinato molti risparmiatori. Come al solito ci sono i pro e i contro e qualcuno dice che bisogna essere più furbi dei furbi in un paese come il nostro.
Albeggia mentre entriamo in territorio toscano, le voci cambiano, gli accenti dialettali toscani si fanno forti, mutano i discorsi. I toni sono polemici ma cordiali. Si parla di tutto, di politica e sport, dal Rinascimento all’Unità di Italia con il suo 150° anniversario. Molti fanno commenti forti nei riguardi dei Piemontesi. I Savoia che fecero l’ Italia unita per loro uso e consumo. Battute feroci contro i secessionisti del nord identificati senza mezzi termini come razzisti e opportunisti. Fierezza della storia del Rinascimento che nei secoli ha dato arte e cultura all’Italia.
Duri questi Toscani!
Mi fermo per la notte a Firenze per ripartire domani per Roma. Ho dormito poco stanotte. Stiamo viaggiando velocemente verso il Lazio.
Roma! Caput Mundi con il Vaticano, il potere politico nazionale e le sue finanze. Il centro sistemico della corruzione politica italiana.
Il treno è affollato, ondate di battute di ogni genere, i passeggeri romani mostrano di avere una ironia strepitosa. Usano un linguaggio iperbolico e travolgente. Ho la sensazione che siano complici involontari di tutti  i luoghi comuni italiani.
E’ un tratto del viaggio che mi ricorda i film che vanno dal Neo-realismo fino al Papa-Re.
Alla stazione Termini ci fermiamo per poco tempo: cambio del personale e rifornimenti.
Si prosegue alla volta di Napoli e lentamente anche i viaggiatori cambiano. Sempre meno romanesco e più dialetto campano dal linguaggio musicale, allegro e ironico.
Dai finestrini scorre un paesaggio artificiale fatto di balle di immondizia, enormi colline ininterrotte di eco-balle. Nessun viaggiatore commenta questo disastro ecologico, sembra che abbiano introiettato il fenomeno come nuova era paesaggistica.
Stancamente si arriva a Napoli, mi fermo un giorno per riposare. Domani riparto per la Calabria.
Ho trascorso il giorno a visitare la città. Sono sconvolto! Napoli assomiglia sempre più a una città morta. Città lasciata morire lentamente e volutamente dalla Camorra e dalla Politica.
L’aria è irrespirabile, l’immondizia in evidente stato di putrefazione soffoca tutto. Napoli capitale del Sud ridotta a un enorme contenitore di rifiuti. Triste fine di un territorio straordinario, con una cultura ricchissima.
Parto per la Calabria. Tanta desolazione che mi ha lasciato molta amarezza nel cuore. Si va a Reggio viaggiando di notte e i miei compagni di viaggio sono taciturni. Non si sentono molte voci, qualcuno fuma nei corridoi.
Mentre albeggia guardo fuori dal finestrino, il Tirreno si prepara a ricevere i primi raggi del sole.
Alcuni passeggeri si sono svegliati e come me osservano l’alba. L’aria stanca della notte ci rende indifferenti gli uni agli altri.
Trascorro il resto della mattinata a guardare il paesaggio che scorre fino a Reggio, del resto i miei compagni di viaggio non sono molto loquaci e si limitano a poche parole di circostanza.
Finalmente siamo a Reggio.
Ho il tempo per un frugale pasto e una visita alla bella città.
Riparto per Catanzaro e Crotone. La velocità del treno è diminuita di molto. Avanziamo sempre più lentamente e anche i viaggiatori hanno modi tranquilli. Nessuna fretta nel parlare o muoversi, tutto in un clima soffuso.
Il treno si ferma in molte stazioni intermedie. Chi sale e chi scende non porta molti bagagli: sono viaggi brevi. Tutto scorre tranquillamente, il paesaggio bellissimo e selvaggio è violato a tratti da costruzioni inverosimili: villaggi turistici e brutti alberghi lungo la costa.
Osservo ponti sospesi sul nulla e strade che non portano da nessuna parte. Monti e colline che scivolano verso il mare.
Mi trovo a pensare che questa lentezza, questo tempo dilatato nei movimenti e nel linguaggio ha un nome. “Rassegnazione”.
La dilatazione temporale mi ha distratto e con meraviglia mi trovo a Crotone. La fermata è stata, con mio disappunto, molto breve. Volevo visitare la città greca per eccellenza.
Riparto per la Puglia: Taranto, altra città della Magna Grecia. Si viaggia di notte e il treno è sempre più lento. Viaggiatori solitari salgono e scendono in ogni stazione.
Sono terre mitiche, ricolme di storia antica, come antichi sono i volti della gente che le abita.
Arrivo a Taranto avvolto in una nube di color ruggine. Stanchi operai dell’ItalSider, a fine turno, aspettano di partire per le loro case e poi disperdersi in mille comuni della Puglia.
E’ ancora notte quando si riparte verso il nord della regione. I viaggiatori sono sempre più rari e il treno viaggia molto lentamente. Ho la sensazione che viaggi per forza di inerzia.
Da finestrini non riesco a scorgere il paesaggio che è avvolto in una nebbia ovattata di color grigio. Sento lo stridio dei freni del treno che si blocca. In lontananza il capo-treno con una torcia segnala qualcosa che non capisco. Prendo il mio zainetto e scendo per chiedergli cosa è successo. Mi risponde che il treno si ferma lì e quindi  devo raggiungere a piedi, in piena notte, la città che non conosco. Intravedo nella nebbia alcune luci verso cui mi dirigo.
Alle prime luci dell’alba (se così si può chiamare) entro in città. Una nebbia densa e grigia avvolge tutto. Non sento alcun rumore, suoni di voci o altro. Tutto è ovattato in un silenzio solitario.
Vedo un bar aperto ed entro per far colazione e chiedere informazioni.
Ci sono pochi avventori: operai, contadini e pescatori. Ordino un cappuccino e chiedo se posso sedermi al tavolino. Il barista mi fà cenno di sì con il capo. Mi siedo in attesa di essere servito.
Mi guardo intorno. Il locale è elegante e pulito, i clienti parlano tranquillamente ma non sento le loro voci. Mentre il barista mi porta la tazza vedo il televisore acceso ma stranamente non sento l’audio ma solo un brusio.
Bevo lentamente il mio cappuccino e noto altri avventori mattutini che si avvicendano al banco ma non percepisco le loro voci. Mi chiedo se il lungo viaggio mi abbia procurato qualche disturbo all’udito. Pago e chiedo al barista dove posso trovare un albergo. Mi porta una piantina della città con gli indirizzi necessari e mi saluta senza che io riesca a sentire alcun suono nitido della sua voce  ma solo un brusio.
Esco e mi dirigo verso il centro della città seguendo i cartelli indicatori e trovo una piccola locanda con camere in affitto. Prendo una stanza al primo piano, è pulita e gradevole. Affronto il problema del quasi mutismo ricorrendo al labiale.
Dopo un breve riposo esco per un giro di esplorazione. La nebbia persiste ancora, lattiginosa e secca, la visibilità è di circa 50 metri. Mi viene in mente un quadro che ho visto in Olanda con un paesaggio immerso in una nebbia nordica. Ma qui sono nel Sud-Italia e gli abitanti emettono un lieve mormorio come se parlassero sottovoce in una chiesa.
Tutte le attività si svolgono regolarmente: autobus trasportano studenti e operai, nel porto si scaricano le navi, i pescatori rientrano dalla pesca e scaricano casse di pesce.
Mi dirigo al mercato dove le donne fanno spesa portandosi per mano bambini piccoli, anziani si aggirano tra le bancarelle osservando prodotti e merci, venditori pesano e incassano, ma non sento che sussurri appena accennati tra chi compra e chi vende. Comincio a sentire un un po’ di angoscia ma cerco di essere razionale e di riflettere su quello mi sta accadendo.
Rientro alla locanda per pranzare. Il menù è buono, c’è il piatto forte della dieta mediterranea con fave e cicorie condite con olio di oliva. Mentre pranzo cerco di ottenere dal giovane cameriere più informazioni, ma mi risponde sempre educatamente come se desse informazioni ad uno in vacanza. Il problema è che tutto il dialogo si svolge tra una persona che emette suoni e una che appena sussurra.
Finito il pranzo salgo in camera per una pennichella.
Rifletto sulla situazione in cui mi trovo: una cittadina del sud immersa in una nebbia lattiginosa molto secca e questo mi fa pensare che probabilmente è nebbia artificiale. Inoltre gli abitanti non emettono che sussurri invece di parlare con un linguaggio fatto di suoni, ma tutto sembra funzionare come fosse normale.
Verso l’imbrunire esco per una esplorazione serale e mi dirigo verso il centro storico. La nebbia si è infittita e la serata è più calda. Ci sono molti bar e pizzerie che si preparano per la serata. Ragazzi e ragazze con visi seri, quasi preoccupati, passeggiano nelle viuzze tenendosi per mano.
Mi accorgo che sono da due giorni in città e non ho ancora visto qualcuno sorridere. Vedo visi sereni, seri, ma neanche un lieve sorriso.
Lentamente esco dal centro storico e mi dirigo verso il mare, la nebbia diviene ancor più fitta. Riesco a scorgere una piccola scogliera a destra di una piccola spiaggia. Vedo un uomo che pesca e mi dirigo verso di lui, mi fermo e l’osservo. Ha un’età indefinita, sembra molto vecchio ma ha movimenti giovanili. Azzardo un saluto con un cenno di mano. Mi ricambia con un sorriso. Accidenti! E’ il primo sorriso che ricevo. Rimango sulle mie e poi dico. “Abboccano?”. “Mica tanto” mi risponde. “Accidentaccio! E’ la prima voce umana che ascolto da quanto sono arrivato in questo posto”. Ride e mi risponde: “La prima e l’ultima”. “Come l’ultima” gli dico. “ Perché sono l’ultimo che parla qui” mi dice.
Da quando sono sceso dal quel maledetto treno non so più dove mi trovo, non ricordo da quanto tempo sono qui e per giunta non riesco a sentire suoni umani dagli abitanti del luogo. La prima voce umana che sento mi dice che è l’ultima. Non so se sono capitato in un sogno o in un sortilegio.
“Mi scusi per il tono” gli dico” ma sono talmente angosciato da quello che mi capita. Mi può dare una spiegazione?”
“Non c’è molto da spiegare” mi risponde” tutti i passeggeri del treno della notte infinita sono destinati a fermarsi in questa città. Qui non è un posto qualunque, geograficamente parlando. Sei arrivato nel buco nero dell’umanità. Quello che hai potuto osservare nei pochi giorni dal tuo arrivo è una minima parte di quello che ti aspetta. In questo luogo tutto si esaurisce lentamente. All’inizio si perde la parola, poi l’udito, infine tutto diviene un vuoto infinito. Qui il tempo non esiste più, tutta l’energia è ridotta al minimo, la vita scivola via come fosse liquida. Non c’è passato o futuro, né notte o giorno. L’unica energia è l’inerzia cinetica del riflesso condizionato del proprio Io”.
Resto senza parole, “ Vorresti dire che qui è un posto di morte?” domando. “No” mi risponde” qui non c’è morte ma nemmeno vita. Qui il cordone ombelicale che tiene in vita l’artificio umano viene reciso e tutto diventa evanescente”. Dopo aver detto ciò raccoglie le sue cose e si allontana perdendosi nella nebbia.
Rimango senza reazione alcuna e poi lentamente mi avvio verso il mio destino.
La nebbia diventa sempre più fitta, non sento più i miei passi sul selciato.
Al mio rientro mentre chiedo le chiavi della stanza la mia voce diviene afona.
Non ricordo molto del passato. Qualche volta torno alla scogliera dove incontrai me stesso in una condizione innaturale.

Angelo Montanaro, maggio 2011

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