Radio Dream 101. Uno sconosciuto partecipa ad un programma radiofonico dal titolo “Raccontate una storia straordinaria che avete vissuto”. Hasim racconta come ha salvato una ragazza che voleva suicidarsi narrando la sua incredibile vita vissuta.

Prologo

Erano passate da poco le 20,00 dal suo rientro quando squillò il telefono. Hasim si chiese chi potesse essere, non aspettava telefonate. Pigramente andò a rispondere: “Pronto! Si!”.

“Senta siamo Radio Dream 101. Ci scusi per l’intromissione nel suo privato. Noi trasmettiamo da Milano. Una volta alla settimana ci mettiamo in collegamento con un nostro ascoltatore per farci raccontare un fatto, una storia che ha segnato la sua vita. Se lei accetta la sua privacy sarà rispettata in quanto il suo numero di telefono è stato selezionato dal computer. Alla fine del suo racconto la sua identità verrà cancellata.”

“Se mi assicurate che tutto sarà regolare, rispose Hasim, sarei anche disponibile”.

“ Va bene” rispose il telefonista.

Hasim aggiunse: “Vi avverto che la mia storia non solo è vera ma è autenticamente vissuta da me”.

“Lei avrà, incalzò l’interlocutore, tutto il tempo che vuole. Nessuno la interromperà durante il racconto. Se per cause tecniche la linea si interromperà, noi la richiameremo. Quando lei si sente pronto la mandiamo in onda”.

Hasim disse: “Va bene! Mi chiamo Hasim”.

“Bene Hasim – terminò il conduttore – puoi partire”.

Come ho già detto mi chiamo Hasim. Sono nato in Algeria a Sidi-Bel-Abbes, da padre italiano sottoufficiale della Legione Straniera (istruttore parà) e da madre algerina di origine Cabila.

Ho trascorso tutta la mia infanzia a Tizi- Ouzou presso i nonni materni e ho frequentato le scuole primarie e secondarie lì.

Dopo l’indipendenza ci siamo trasferiti a Orano perché mio padre aveva incarichi alla base di Mers-el-Kebir. Siamo rimasti per un periodo di tempo, poi siamo partiti per Marsiglia in attesa del congedo di mio padre che aveva intrapreso nel frattempo l’attività di albergatore.

Avendo avuto facilitazioni come rientrante in Francia dall’Algeria, frequentai l’Università. Studiavo lingue conoscendo già l’italiano, il francese e l’arabo-cabilo.

Dopo la mia laurea mio padre decise di rientrare in Italia per risolvere problemi familiari legati all’eredità familiare. In poche parole i suoi fratelli lo avevano fregato.

Con la vendita dei nostri averi a Marsiglia avevamo avviato un ristorante-bar con specialità. La vita trascorreva tranquilla e io mi occupavo della contabilità e gestione in attesa di una sistemazione futura.

La tragedia arrivò d’estate quando i miei furono uccisi durante una rapina di una banda di balordi mentre stavano chiudendo.

Superai con molte difficoltà la tragedia. Ma in seguito, pur essendo figlio di un italiano, tutto andava storto. La burocrazia uccise i miei sentimenti. Ero per metà italiano e per metà arabo-cabilo. Algerino di nascita e pied-noir, insomma mezzosangue. Un gran casino. Per qualsiasi atto amministrativo o di gestione dell’attività subivo la violenza della burocrazia in continuazione. Insomma per ogni atto subivo un vero e proprio processo fatto di spiegazioni assurde. Finchè stanco per le continue vessazioni vendetti tutto.

Con i familiari di mio padre non avevo rapporti e quindi per loro non esistevo. Dai familiari da parte di madre, dopo i funerali dei miei genitori, venni a conoscenza di quello che dovettero subire dopo il colpo di stato del colonnello Houari Boumedienne. Un mio zio harki morì in carcere, il resto della famiglia subì l’onta dell’esilio durante il quale i miei nonni morirono. Sono sepolti a Tlemecen. Furono espropriati di molte delle loro proprietà ma malgrado tutto mi offrirono il loro aiuto in caso di bisogno. Quando si dice, concretamente, solidarietà!

Decisi di trasferirmi nel sud-Italia dove affittai due camerette. Il clima mite e la cordialità della gente mi facevano ricordare l’Algeria con i suoi colori e sapori. Lentamente scivolavo nell’apatia, ero solitario e randagio portandomi dietro il fardello del mio passato, la perdita dei miei e i luoghi dell’infanzia.

Ricordo l’imbuto nero della mia depressione. La città dove abitavo ha una scogliera alta 70-80 metri. Da tempo meditavo di fare un salto da essa. È un detto comune del posto per significare suicidio. Vi erano stati molti salti da quella scogliera.

Un pomeriggio particolarmente triste avevo deciso che era arrivato il momento di fare il salto. Presi il viottolo che portava al promontorio rasentando il muretto di protezione per scegliere il punto più alto.

Mentre guardavo giù nel vuoto intravidi una ragazza rannicchiata su un piccolo sperone di roccia. Piangeva. Capii subito quello che aveva in mente di fare.

La chiamai sottovoce: “ Signorina cosa vuol fare? La prego di riflettere. Per favore non lo faccia. Lei è così giovane. Sia gentile, parli perché a tutto si può rimediare. Come posso aiutarla? Sa anch’io un giorno ci avevo pensato e in un momento di depressione volevo farlo quel salto, ma poi per incanto vidi chiaro ed oggi quella crisi l’ho suparata”.

Mentivo pur di convincerla, mentivo per me stesso. Mentivo per salvare quella ragazza e me stesso.

Fu così che raccontai tutta la mia storia di vita e mentre le raccontavo le porsi la mano invitandola a scavalcare il muretto.

Mi raccontò della sua delusione di un uomo che aveva amato e aveva poi scoperto che era sposato e di come l’aveva ingannata.

Così raccontatoci le nostre vicende ci eravamo insieme salvati.

La invitai al bare a prendere un thè e poi l’accompagnai alla stazione per prendere il treno.

Ci salutammo con una stretta di mano.

Da allora anche per me qualcosa è cambiato. Vivo serenamente con la donna che amo.

Non ho saputo come si chiamasse quella ragazza perché non mi disse il suo nome, ma mi auguro che anche lei abbia risolto i suoi problemi. Avrei desiderato tanto ringraziarla per avermi salvato dai miei propositi. Non ho altro da aggiungere.

“ Qui Radio Dream101, abbiamo trasmesso: “Raccontate le vostre storie”.

Grazie Hasim!

(Rif. “Storie vissute”)

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A. Montanaro

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