Figlia con altri sei tra maschi e femmine in una famiglia friulana, la sorella di mia nonna un giorno rimase incinta. Di un vicino di casa, pare. Il dramma non fu la gravidanza, ma che lei si fosse concessa fuori dal matrimonio – “Mater munus” è appunto, alla sua radice latina, il “diritto” sulla maternità, ciò che dava diritto alla donna di diventare madre nel passaggio ufficiale dalla autorità/protezione paterna all’autorità/protezione di un altro uomo.
La mia pro-zia fu disonorata e, ancor più grave, disonorò la propria famiglia.Fu condotta da un medico che praticò l’aborto, illegale a quei tempi. Tornata a casa, cominciò l’emorragia. Per tre giorni pezze intrise di sangue furono portate fuori dalla sua stanza. Infine la mia pro-zia morì dissanguata. Non fu condotta in ospedale per le cure, perché non si doveva sapere in giro. Nessuno denunciò nessuno, e tutto venne messe a tacere. Qualcuno segnalò fatti anomali in prefettura, ma non se ne fece nulla. L’onore della famiglia doveva essere preservato.

E’ questa una storia fra tante, fra centinaia di migliaia. Ogni famiglia ne conserva qualcuna chiusa dentro all’armadio fra lenzuola di lino ricamate per la dote delle figlie. Il desiderio femminile è un danno collaterale della democrazia. Buco nero della psicoanalisi prima, “scoperta” delle femministe, poi. Roba recente. Prima alle donne non doveva interessare il desiderio, ma l’onore – cioè la sua verginità, la sua pudicizia. E’ stato così nei secoli dei secoli, lungo i duemila anni di cattolicesimo e per tutto l’arco dell’era classica, latini e greci inclusi.

Qualche sera fa, durante una cena, si parlava di politica. Età media sessant’anni. Uno dei presenti afferma che nella crisi di valori attuale riporterebbe in auge l’onore. Un brivido mi attraversa la schiena e si trasmette a tutto il corpo come impulso nervoso. Ho uno scatto, e ancora prima di riflettere chiedo: perché, proprio l’onore? La mia è una reazione quasi istintiva, come chi sa che il fuoco brucia perché l’ha toccato. Lui spiega. E fa l’esempio di quell’imprenditore dei tempi che furono che si vendette tutto, comprese ville e panfili, per saldare i propri debiti. Al discredito della comunità preferì privarsi di privilegi e ricchezza. Si vendette tutto piuttosto che perdere l’onore.

Secondo questa tesi, ripristinare l’onore sarebbe importante per arginare la tendenza attuale a fare i propri interessi a discapito della comunità. Onore come antidoto ai furbetti, ai concussi e ai concussori. All’individualismo, all’arrivismo, all’arricchismo.

Dopo la prima reazione cerco di prendere le distanze dal mio fastidio istintivo e a capire quello che ci sta dietro, insieme a ciò che viene proposto. Obietto che forse ci sono altre parole più adatte di ‘onore’ a rivalutare il rispetto dovuto ad una persona perché si cura del bene comune. Nel contesto stiamo infatti discutendo dei valori che la sinistra dovrebbe proporre per farsi guida del rinnovamento sociale.

Mi trovo a contrastare l’ipotesi che proprio ‘onore’ debba essere fra questi.

Si accende un dibattito che andrà avanti per diversi giorni. Gli altri due uomini presenti alla discussione sono d’accordo con la tesi che ‘onore’ non abbia quel carico di negatività che per me è così evidente, addirittura plateale. Le donne osservano che l’onore appartiene ad una società in cui esistono forti vincoli tra le persone, si riconoscono in parte sia nella visione negativa che in quella positiva di ‘onore’, ma in entrambi i casi rilevando che la parola ha connotazione maschile.

Presi dal dibattito, andiamo a cercare l’onore sul vocabolario. La lista dei significati è lunga, e varia seconda del dizionario. Uno recita: “alta considerazione che si riconosce socialmente alla virtù, all’onestà, al rispetto dei principi morali accettati dalla società”. Un altro vocabolario richiama la radice latina “hònor” che ha lo stesso tema di onesto, “hònos”, e lo definisce come “la riverenza e la lode che si rende alla virtù, o a chi è in alto di grado”. Un altro vocabolario definisce l’onore come “buona reputazione acquistata con l’onestà, la coerenza ai propri principi”.

Sembra che i tratti salienti dell’onore stiano in ciò che gli altri vedono di te, nel fatto di non trasgredire quelle che per la comunità sono virtù, e nel fatto che l’immagine che hai di te stesso debba coincidere con quella che l’insieme della comunità ha di te.

‘Onore’ è allo snodo del rapporto tra individuo e comunità. Presuppone l’esistenza di una comunità tenuta insieme da relazioni forti.

Di conseguenza penso che sia opportuno, prima di tirare in campo l’onore, interrogarci seriamente sulla comunità. Dovremmo chiederci che cosa rende tale una comunità, e come la vorremmo.

Il “che tipo di comunità” è anche il luogo dove si apre la diatriba tra me, che voglio lasciare l’onore al passato, trattarlo come si fa con un buon pezzo da museo o reperto ad uso degli antropologi. E chi lo vorrebbe ripristinare in nome di una rifondazione dell’umano sulla base di principi universali.

La comunità su cui si fonda l’onore è infatti la comunità che abbiamo storicamente conosciuto, e che il Novecento ha nel bene e nel male sbriciolato. E’ la comunità che si regge su una rigida divisione sessuale del lavoro, sulla famiglia fondata sul matrimonio, che prevede l’espressione della sessualità femminile nel solo ambito della riproduzione e sotto il vincolo dell’autorità maschile. Questa è la comunità degli uomini d’onore, non altra. Quella della divisione tra spazio pubblico e spazio privato.

Osservare le criticità dell’onore vuole dire, prima di tutto, notare le criticità della comunità che l’ha fondato. Non esiste onore al di fuori del rapporto tra un individuo e la comunità che è storicamente comunità fondata sulla famiglia patriarcale. Ora se n’è andata in vacca la comunità, e pure la famiglia non è in gran salute. L’onore è relitto fra le macerie di un tempo che fu, e se vogliamo ricostruire la casa serve partire dalle fondamenta appunto, non dal colore delle piastrelle.

Mi si dice che il significato “alto” di onore va ripristinato e che quello che rinnego è solo il suo significato “degenerato”, svilito. Che non si può far coincidere una parte (quella degenerata), con il tutto (onore nel suo senso alto).

Obietto che le parole hanno una storia che è anche storia di rapporti di potere. Che le parole non vivono in astratto, ma solo in terra nel nostro uso quotidiano e concreto. Che le parole condensano la vita vissuta. Che le parole sono scritte nella carne, nei muscoli, nei nervi, come DNA immateriale che codifica i nostri comportamenti.

Che la mia è sì parzialità, ma una parzialità che illumina l’insieme, e ne rileva le contraddizioni. La mia parzialità incide sulla qualità del tutto, non gli è indifferente – come le manifestazioni storiche e parziali del comunismo non possono essere trascurate se si vuole teorizzare il comunismo in astratto.

Obietto che non esiste un onore astratto vero e puro, e un onore parziale e indegno. Esiste l’onore nella sua vicenda storica, che è in gran parte vicenda di sopraffazione, ed è disonesto non tenerne conto.

Che la coerenza può portare tanto all’onore quanto al disonore, e che c’è chi muore pur di non sottostare alle regole (di onore) imposte da comunità e famiglie (come nella celebre vicenda di Romeo e Giulietta, che per coerenza al proprio amore l’onore lo gettano alle ortiche).

Che ‘onore’ è stato vissuto nella sua parte “svilita” da almeno la metà dei viventi nella storia del mio paese – le donne. Anzi dalla maggioranza, visto che il numero di donne ha sempre superato quello degli uomini, nella statistica demografica.

L’onore lasciamolo al passato, per il presente e per il futuro esercitiamoci su altri valori. Facciamolo per la mia pro-zia morta d’aborto.

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