Dopo il tramonto del vecchio welfare conquistato dai lavoratori nel secolo scorso, nel mondo nuovo il sistema del capitalismo liquido e finanziario della new economy sia la classe borghese che la proletaria sono cadute in un vortice, a costituire la nuova classe del precariato: una moltitudine di persone sradicate, costrette al nomadismo nell’open space del mercato de-regolamentato.
Un precariato esistenziale, un nuovo paradigma che non tollera nessuna stabilità, nessuna etica comunitaria.
La nuova classe dominante, composta da un’aristocrazia finanziaria apolide, sta distruggendo uno dopo l’altro i fondamenti della coesione sociale, i diritti conquistati da lavoratori e lavoratrici, dalle garanzie lavorative ai diritti sociali e di cittadinanza.
Oggi nella solitudine delle coscienze una massa amorfa vive da schiavi che, senza sapere di esserlo, vivono come un destino naturale la propria vita. Inoltre la flessibilità di lavoratori e lavoratrici si accompagna ad uno specifico processo, etichettato come una inedita ‘femminilizzazione del lavoro‘.
Significa che i tratti caratteristici del lavoro storicamente esercitato dalle donne, cioè il lavoro di cura e il lavoro riproduttivo, sono estesi all’intero mondo produttivo. Il lavoro riproduttivo è socialmente invisibile e svalorizzato, si esplica in un tempo senza soluzione di continuità tra lavoro e non lavoro, ha a che fare con mansioni considerate umili e ripetitive. Nonostante richieda complesse competenze relazionali, esse non sono riconosciute o sono percepite come “connaturate” alla femminilità: ascoltare, accogliere, preoccuparsi dei bisogni altrui. Manifestarsi disponibili, accondiscendenti, flessibili, essere sempre a disposizione h 24 ed accettare stipendi bassi sono altrettante “qualità” richieste nel mondo del lavoro precario. L’obbligo dei doppi e tripli turni e l’incessante sovrapposizione tra tempo di lavoro e tempo di vita sono cifre della accumulazione capitalistica odierna, nel segno della precarietà.
Femminilizzazione del lavoro significa anche che man mano che le donne entrano in campi professionali tradizionalmente maschili, il valore economico di quella professione diminuisce e, in generale, ne diminuisce il prestigio (così è avvenuto, per esempio, in medicina).
L’integralismo liberista ha prodotto la femminilizzazione della società non nel senso della emancipazione femminile, ma nel senso della riduzione dei diritti per tutti. Invece di alzare il livello remunerativo e di diritti per le donne, si abbassano per tutti. Tipica del nuovo “zeitgeist” è l’esaltazione di quei tratti femminili per come essi sono stati codificati dal dominio maschile (Bordieu). Per questo nell’accumulazione flessibile carattrizzata dal “divenire donna del lavoro” (Deleuze), alla differenziazione storica tra uomini e donne tende a sostituirsi un nuovo profilo: quello dell’ ‘io’ globale, un individuo unisex che vende forza lavoro e acquista merci usa-e-getta, che diventano genericamente femminili o maschili a seconda delle esigenze dell’economia.
A. Montanaro