Anticamente quando si moriva in casa i parenti usavano coprire gli specchi per impedire al diavolo di impadronirsi dell’anima del defunto. Questa antica usanza nel tempo si è persa anche perché difficilmente si tiene un morto in casa. Molti scrittori hanno raccontato storie di specchi. Da Lautremont a Borges, da R. Barthes a Baudrillard a Goethe.

Nel “Lo studente di Praga”, vecchio film muto degli anni ’30, espressionista di scuola tedesca, si racconta la storia di un studente povero ma ambizioso e impaziente di condurre una vita più ricca.
Una sera rientrando a casa un po’ brillo, rimuginando la sua ambizione e la sua soddisfazione, maledicendo il destino che non lo arricchisce, invoca qualsiasi entità che sia propenso ad aiutarlo.
Il diavolo appare allora nella camera e offre allo studente un sacchetto pieno di pepite d’oro in cambio della sua immagine riflessa allo specchio.

Il patto è concluso.

Il diavolo stacca l’immagine speculare dallo specchio come una stampa o un poster, l’arrotola e si ritira.
Lo studente grazie al dono ricevuto dal patto vola di successo in successo evitando di passare davanti agli specchi. Il non potersi vedere non gli costa molto, ma ecco che un giorno scorge sé stesso in carne e ossa in un reality-tv. Frequentando il suo stesso mondo il suo doppio lo segue e non lo lascia in pace. Questo doppio, già lo si indovina, è la sua immagine venduta, resuscitata e messa in rete. Da quella immagine che non si trova più soltanto negli specchi ma è nella vita stessa che lo accompagna dappertutto. Quando più la rifiuta più l’immagine prende il suo posto. Una sera lo segue nella sua camera e nel corso di una violenta scenata tra loro l’immagine si trova a ripassare di fronte allo specchio da dove era uscita.

Al ricordo di quella prima scena, la nostalgia della propria immagine mista al furore provocato da tutto ciò che gli tocca sopportare a causa di essa, portano lo studente all’esasperazione. Spara su di essa e ovviamente lo specchio va in pezzi e il doppio ritornato fantasma si volatizza.

Ma nello stesso tempo lo studente si accascia. Sta morendo. Uccidendo la propria immagine ha ucciso sé stesso.

Questa storia rappresenta simbolicamente l’immagine speculare e il senso dei nostri atti.
Essi compongono attorno a noi un mondo a nostra immagine, noi esprimiamo il rapporto inalterato con il riflesso di uno specchio.
Simbolicamente quindi se l’immagine ci viene a mancare significa che questo mondo si opacizza, che i nostri atti ci sfuggono, rimanendo senza prospettiva di noi stessi. Senza questo non c’è più identità possibile. E’ il primo dato del racconto che non si accontenta di un intreccio generale ma fornisce il senso concreto della situazione. Questa immagine non è perduta né abolita per caso, essa è venduta, cade nella sfera della merce ed è proprio questo il senso concreto sociale. Nello stesso tempo il fatto che il fruitore possa intascare quell’immagine come un oggetto diviene anche l’illustrazione fantastica del processo reale del feticismo della merce.

Così in “La storia meravigliosa” di Peter Schlemihl, l’uomo che perde la propria ombra è per maleficio disgiunto della persona e diviene una semplice cosa come un vestiario che si può dimenticare in giro.

Le leggende egiziane dicono che non bisogna passare troppo vicino all’acqua, infatti i coccodrilli sono ghiotti delle ombre che passano.

Le due storie sono uguali: immagine o ombra. E’ sempre la contraddizione del nostro rapporto con noi stessi e con il mondo che viene spezzato e la vita perde il suo senso.
In questi racconti rispetto a tanti altri patti è ciò che essi pongono loro “sotto forma di moneta” e solo loro al centro, cioè la logica della merce e del valore di scambio.

Il mito del “patto” e “dell’apprendista stregone” è ancora un mito demiurgo, quello del mercato, della moneta e della produzione il cui obiettivo trascendente si rivolge contro sé stessi.

La dualità tragica ripropone ancora il concetto di “spettacolo”, di “società spettacolare” e di alienazione radicale.

Nella rappresentazione metafisica del consumismo, un mito metafisico equivalente è quello del doppio per l’ordine della produzione. Ciò non è accidentale: i Miti come facoltà di parlare, di riflettere e di trascrivere sono solidali con la trascendenza e scompaiono con essa.

Quando nella società dell’abbondanza si usa lo slogan pubblicitario: ”il corpo che sognate è il vostro”, un immenso narcisismo collettivo conduce a confondersi e assolversi nell’immagine che essa si dà di sé stessa.
Il corpo si autoprofetizza in un riflesso di sé stesso leggendosi come nello specchio di Eulenspiegel: cioè egli è ciò che desidera.

La gente si guarda allo specchio come eroi del consumismo, un tempo gli eroi rappresentavano un modello: la celebrità è una tautologia…il solo titolo di gloria della celebrità è la loro celebrità.

Il fatto di essere conosciuti…Ora questa celebrità non è nient’altro che una visione di noi stessi magnificata dalla celebrità. Imitandola parliamo e ci vestiamo come lei, non facciamo che imitare noi stessi….Copiando una tautologia diveniamo a nostra volta tautologici.

Canditati ad essere quel che siamo… cerchiamo modelli, contempliamo il nostro proprio riflesso.

La Televisione: cerchiamo di conformare la vita della nostra casa all’immagine della famiglia felice presentataci dalla tv (vedi “Villa serena”).
E’ come controllare la società dei consumi fornendole un supplemento d’anima.
Come la società del Medio-evo si reggeva in equilibrio sulla religione e il diavolo così la nostra si regge sulla pubblicità e il suo consumo.

Attorno alla religione e al diavolo potevano organizzarsi eresie e sette di magie varie.
Nessuna eresia è possibile nell’opulenza pubblicitaria.

E’ la trasparenza profilattica di una società satura, senza vertigini e senza storie, senz’altro mito al di fuori di sé stesso.

A.M.

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