Le panchine sono quelle comodità che, sparse un po’ ovunque nelle piazze del mondo, permettono alla gente di riposarsi e di godere la visione degli spazi e di passaggi stucchevoli.

Ci sono panchine sportive, quelle letterarie, quelle poetiche “Pessoa”, quelle eroiche e così via.

La mia panchina, ovvero la panchina che ho scelto per me, è solamente per me. E’ una di quelle strategiche che mi permettono non solo di riposare ma di svelarmi tutta l’umanità che transita nella sua vicinanza.

Da un po’ di tempo siedo e osservo, dialogo e faccio congetture.

Di primo mattino con il mio quotidiano siedo e osservo: il primo che passa è sempre Mario il fornaio che, finito il lavoro notturno, attraversa la piazza con stanchezza. Va in bicicletta. Il lavoro notturno e la farina lo hanno reso pallido. Sembra un fantasma che va in bici e anche la bicicletta ha perso i suo colore originale talmente è impolverata di farina.

Mentre si allontana stancamente dal mio campo visivo penso all’uomo Mario che per anni ha svolto il lavoro notturno di panettiere per farci gustare il pane fragrante. Quanti Mario del mondo che in ogni epoca di guerre e carestie hanno sempre cercato in tutti i modi di darci quell’antico nutrimento che è il pane.

Dopo Mario è il turno di Giacinto con il suo carretto. Giacinto è l’ultimo ortolano ambulante della città. La sua zona di vendita è il vecchio centro storico. I prodotti sono freschi perché coltivati dalla sua famiglia. Il suo modo di fare gentile e la fiducia nei suoi prodotti ne hanno fatto una figura storica sia per la città che per gli abitanti del centro.

Il modo di gestire il bilancio economico della sua attività urta molte volte con le aspettative della famiglia perché Giacinto, oltre dare in beneficenza qualcosa per chi non può pagare, ha un vizietto: entra in ogni bar che incontra per farsi un goccio.

Passano gli artigiani che vanno ad aprire i loro laboratori, passano i commercianti sempre scontenti che gesticolano.

E’ l’ora delle beghine per le varie messe mattutine condite dai pettegolezzi cittadini.

E’ tutto un movimento di studenti e studentesse, ciarlieri e sfrontati nella loro giovinezza. Si spintonano, si accarezzano, si baciano dirigendosi a gruppi verso le scuole. Il tempo ci dirà quanti di loro riusciranno a farcela.

Li osservo ricordandomi della mia giovinezza. Chissà che futuro avranno, quanti realizzeranno i loro sogni? Quanti si perderanno in vite vissute senza significato, lasciandosi vivere rabbiosi e ostili nei riguardi di un mondo che non riesce e non vuole capirli. Quanti di questi ragazzi deluderemo con i nostri egoismi, con i nostri principi fasulli e borghesi e la nostra moralità mendace. Quanti si perderanno nel buco nero della emarginazione?

Chi siamo noi vecchi rincoglioniti dal consumismo bulimico per decidere della vita di queste nuove generazioni?

Momento di pausa per il caffè e poi ritorno alla mia panchina.

E’ l’ora degli impiegati, pubblici e privati. Mi sfilano davanti come in parata. Tutti uguali nei gesti e nel vestire, tutti con lo stesso passo impettito, fieri del loro ruolo di burocrati delle varie amministrazioni. Si riconoscono con lo sguardo i comunali, con passi svogliati, i bancari austeri, gli infermieri umanitari (sic!), i ragionieri pensanti, gli uscieri padroni degli istituti dove lavorano. Direttori e vice-direttori con i loro quotidiani di riferimento.

Tutti come un esercito di giustizieri si avviano ai loro posti di comando, pronti a maltrattare gli utenti che si avventurano ai loro sportelli.

Una volta alla settimana c’è il mercato. Non mancano mai all’appuntamento: casalinghe con bambini al seguito, in lunga processione attraversano la piazza. Sono di tutte le età e vanno veloci per rifornirsi del necessario per la casa. Un continuo andirivieni di chiacchiere e di risate, di prezzi da contrattare e arrabbiature contro il tempo.

In un breve dialogo con una amica di passaggio mi rivela che il giorno del mercato è quello della loro vendetta.

Le chiedo il motivo e mi risponde con una candida risata che nel giorno del mercato gli uomini non hanno nessun potere su di loro.

Certo che dopo il femminismo e le tante lotte del movimento delle donne chiamare il giorno del mercato il giorno della vendetta è molto deludente.

In tarda mattinata arrivano le bambinaie ad occupare una zona distinta della piazza dove non c’è pericolo per i bambini. Sono ragazze che racimolano un piccolo stipendio in attesa del posto di lavoro più consono alle loro aspettative, oppure di una sistemazione matrimoniale. In genere sono ragazze che hanno terminato il percorso scolastico. Questo lavoro serve per un apprendimento di future mamme mi diceva un mio vicino di panchina a cui chiesi se era solo lui a pensarla in questo modo. Mi rispose con assoluta certezza che così vanno le cose nel mondo. Sconcertato mi allontanai terminando così la mia mattinata da panchinaro.

Nel pomeriggio riprendo la mia panchina preferita.

Puntuale alle 16 passa Costanza fiera nella sua solitudine di antica addestratrice al sesso di giovani rampolli della buona borghesia cittadina.

Passa con andatura altera. E’ ancora piacente malgrado l’età. Si mormora che conosce i più segreti gusti sessuali della città. Ma lei che si definisce un’aristocratica dei piaceri sessuali mai rivelerà questi segreti.

Giunge l’ora dei nonni con i nipotini. Sono pensionati di tutte le categorie, scenari di economia sociale, di salute, di soldi che non bastano mai.

Discutono di politica, comunismo, fascismo, berlusconismo…. Così fanno l’Italia, giorno per giorno.

Passano i giorni e qualcuno di loro manca, altri si aggiungono. Un continuo flusso di pensionati tiranneggiati dai nipotini.

Puntuale verso l’imbrunire arriva Rocco.

Rocco da un mese circa frequenta la mia stessa panchina e così giorno dopo giorno mi ha raccontato tutta la sua vita.

Una vita non facile quella di Rocco. Una vita da pregiudicato con anni di carcere.

Ci tiene a precisare che non ha mai usato violenza nella sua attività. I suoi traffici erano: contrabbando, contraffazione di merci, ricettazione e riciclaggio.

Mi dice in una risata: meno di quello che fanno i politici.

Ha mantenuto la fa famiglia e fatto studiare i figli.

Ma la specialità di Rocco è la conoscenza di tutti i fatti e misfatti della città.

Lui conosce tutti. Conosce le malefatte della città, le truffe e le ruberie della classe al potere. Conosce i segreti delle attività criminali di alcune famiglie in vista.

La droga che giornalmente viene consumata, persino l’indebitamento di famiglie che vivono al di sopra delle loro possibilità.

Senza ombra di dubbio Rocco è la persona che più conosce la realtà cittadina.

Stasera Rocco è venuto per congedarsi. Deve partire per raggiungere i figli che vivono all’estero e che non vogliono che lui, da quando è rimasto vedovo, resti in questa città.

Quando arriva mi saluta con un cenno della mano, si accende una sigaretta e dopo la prima boccata mi dice: “Prima di salutarti voglio dirti di non rimanere seduto in panchina per sempre, ho la sensazione che stai in una bara scavata nel tempo. Il mondo può esplodere e questo non ti risparmierebbe dalle tue responsabilità. Non puoi passare la vita in panchina a vedere sfilare il tempo della normalità di facciata di cui si nutre questa città. Non sempre le storie ti vengono a trovare. La mia lo è stata, ma le altre te le devi cercare”.

“Rocco perché mi hai raccontato la tua vita? Alla fin fine non mi conosci”

“Perché se un randagio entra in chiesa e piscia su una colonna, nel giro di un giorno tutta la città ne parlerà. Ma se il prete di questa chiesa ha delle attenzioni verso gli adolescenti, tutti lo sanno ma nessuno lo denuncerà.

Ora sai di questa città”.

Finisce l’ennesima sigaretta. Mi saluta con un cenno della mano e se ne va.

“Buona fortuna” gli grido mentre si allontana.

“Anche a te” mi risponde.

Da quella sera la panchina è rimasta deserta.

 

 

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Per la Moltitudine settembre 2013 A. MONTANARO

Immagine: www.flickr.com – di Maria Grazia Marrulli

 

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