“Meglio una fine spaventosa
che uno spavento senza fine”
Non vorrei far parte del branco di cani ansiosi di una carezza di un qualsiasi padrone.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
Per sfuggire dal male teppistico che rivela un’accozzaglia male assortita di benefattori. Politicanti spregevoli e criminali “stimabili”, giocatori e prostitute, a gettare il proprio presente nelle fognature dei salotti televisivi.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
Per stare sempre con i vinti, contro l’arrogante tracotanza dei vincitori. Contro la vigliacca bulimia degli indifferenti. Quel lato oscuro della coscienza, la segreta parte della vita, quella sotterranea, nascosta agli sguardi critici. Quel lato sordido elevato ad opera d’arte.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
Senza nostalgie per domani e per la natura matrigna. Contro il nuovo ordine mondiale, come il caos che regna a Wall Street. Ordine economico per speculare e inquinare. Mandano gente a crepare in guerre utili solo per i loro interessi, questi sicofanti della finanza che si nutrono della povertà dei cittadini.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
Contro l’indifferenza come professione del peso morto. Giorni uguali alle notti inesistenti e dementi, in attesa di albe tragiche. In attesa di incontri volgari, con uomini di potere che trasudano arroganza.
Vincitori tronfi e convinti del proprio potere.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
E una faccia da dannato per riscattare la dignità umana, senza stare sempre in una pozza di fango e gridare contro cieli inquinati.
Bisogna sollevarsi come bestie ferite e urlare maledizioni, non serve vomitare fiele da stomaci rattrappiti.
Quanto odio può contenere la terra?
Quanto può contenerne un cuore?
Basta! Con la pazienza come anticamera della rassegnazione.
Via da quei musi di maiali, con facce da pecora.
Voglio il mio diritto di essere ribelle.
Per non farmi prendere da malinconie struggenti.
Il mio ribellismo sarà duro come un cuneo che penetra nel cuore.
A. Montanaro
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