Cosa vuole fare l’essere umano trattando il proprio corpo come una macchina, spingendolo ai limiti estremi con l’ibrido e artificiale, fino al punto di rottura? Per cercare questo limite sottopone il corpo a ogni tipo di esperimento, dal caldo delle saune al freddo, dalla depressurizzazione alla forza centrifuga, dalle palestre agli sport estremi.
Attraverso pratiche che permettono di realizzare l’umano nel proprio superamento, l’umano si abolisce e rinnova l’eterna domanda, mai appagata da una risposta compiuta e definitiva: chi siamo?
L’ideale oggi è il robot? O l’aspirazione a ridursi a un artificio? Cosa è rimasto dell’ottimismo del “manifesto Cyborg” di Donna Haraway? Dove l’ibridazione era promessa di liberazione.
Viviamo forse nel compimento dell’era Platonica, nella duplicazione infinita di oggetti riproducibili dall’unica matrice? L’immortalità di oggetti in serie ci fa vergognare, e cercare l’immortalità attraverso la duplicazione infinita della nostra stessa immagine. Che delusione, quando capiamo che il “platonismo industriale” riguarda solo gli oggetti, non noi.
A dispetto della nostra iconomania, scopriamo di essere mortali, unici e deperibili e l’illusione di costruirci dei pezzi di ricambio attraverso la produzione di immagini si infrange contro la nostra irrisolvibile deperibilità.
Se i fantasmi diventano modelli del vissuto, quando si scontrano con il reale, a vincere sono i fantasmi.