Mummie progressiste morenti, esangui, rifiutati dalle cittadelle mediatiche per rilanciare imprecazioni contro la sventura del tempo.
Nel godimento delle sfortune altrui.
Classificazione Neo-Tecno.
Il fighetto Eco-responsabile con la borghese Fashion-victim.
La rever gay-friendly con il Cybor-satanico e il tecno-zoom.
Tutti alla ricerca del mostro nascosto nei rifiuti della memoria. Il dio tappabuchi degli economisti, dell’autopsia dei cittadini.
Galleggia lungo i fiumi nell’oscurità dell’inferno.
Infine, pagate le Prefiche per il pianto, siamo liberi di vivere nell’illusione della libertà.
L’imbecillità come meta massima da raggiungere.
Vivere come cercare oro in una discarica.
E la terra come fogna dell’universo.
Immergersi nello squallore del divismo quotidiano usando la lingua morta della parola pubblica.
È l’intelligenza del verme solitario che solo l’acido corrosivo dell’imbecillità nutre.
Facce vuote come culi di tacchino si aggirano nelle notti agitate.
Nell’avamposto della morte dove si vomitano le anime, spargere sterco sui propri sogni.
È nelle osterie delle anime perse che la civiltà della guapperia del consenso si è evoluta. Producendo il virus del vaiolo delle scimmie nel degrado della democrazia del teppismo.
Signori di primarie che elargiscono premi ad una plebe affamata di vizi.
Inondati di bile nera per produrre melanconie.
Nel furore della poesia si cammina sull’orlo di precipizi per sgretolarsi, andando in pezzi nell’infame rovina, come prezzo del suo trionfo.
Alla ricerca di uno spazio nascosto in un loculo, per scoprire che quel passato non c’è più.
Rimane solo un’ipnosi nebbiosa che spazia desolata dove nessuno pensa.
Così si scoprono fiori delittuosi, che spuntano dagli abissi dalla cloaca della terra.
Tutto l’orizzonte che ci attrae è quello dell’uscio della porta di casa, dove la storia si è fermata per bivaccare in una palude, in attesa che la mediocrità si dilegui.
Politici maggiordomi di “Maeson de passe”. Che invece di ricevere mance, le rubano. Come i ruffiani alle prostitute, solo che ora è il cittadino che si prostituisce.
Viviamo un tempo di vanità, di volgarità, di megalomanie. In un paesaggio di puerili monumenti di carni purulente.
Si trovano ovunque, avvinghiati alle strutture amministrative dello Stato. Piccoli Bismarck in divisa da portiere d’albergo.
Shit-storm di sterco sopra la superficie del paese, mentre sotto le viscere vitali dell’Italia scorre tutto il marciume.
Nascosto nelle cantine della vita.
Ed il resto che appare viene mostrato e teatralizzato come messa in scena di un inconscio esibito comicamente, come in una farsa più spettacolare ed esilarante, come nell’Atene di Aristofane.
Digeriamo così lo sterco come aspetto migliore di noi.
I moralisti un tanto al kilo creano movimenti di emancipazione dalla noia sociali, banalizzando tutto nei labirinti dell’anima. Trasformandoci da macchine da prestazione autistiche a idioti savant.
In attesa dell’amore di Nausicaa indossiamo maschere morali da tarantolati per nasconderci prima di scendere nell’Ade.
Così, finita la musica della vita, finito il ballo.
Tutti affetti dalla malattia di Corinzia, per finire nelle braccia di Calipso per la vita eterna.
Quanta gioventù dorata svolazza intorno alla fiamma della vanità, per ritrovarsi nei cessi dei club riservati a leggere i capolavori della metrica segaiola.
Come essere incatenati in un coito eterno!
Gli esperti di finanza ciarlatana, distruttori creativi che lasciano dietro di sé cenere e segatura, con astuzia mimetica nascondono il cancro economico sul corpo sociale dei cittadini.
Assassinando la felicità ci trasportano nelle fredde acque dell’egoismo.
Tutti attaccati alla mammella dell’economia globale.
Dalla morte di Dio di Dostoevskij alla violenza perpetua del mercato.
Piccola umanità colma di odio servile verso i potenti del sistema che fedelmente riproducono.
Inneggiando alla moda del suicidio imprenditoriale del piccolo artigiano.
L’angoscia programmata come sbarre di lager sociali, per mantenere l’ordine del lavoro schiavista.
Nell’ordine di asserviti volontari si rivelano delle piccole carogne quei capetti che hanno fatto dell’etica il mercatino della delazione.
Ci si batte nelle gabbie del tempo, fingendo di andare avanti, mentre si gira come criceti nella ruota.
Fino all’esaurimento della forza
A. Montanaro
Immagine by eric auchieri