Democrazia e demagogia. Questo nesso era conosciuto già dagli antichi greci. Le loro riflessioni hanno ancora qualcosa da dirci.

Una “pazzia notoria”: cosi Alcibiade, costretto a rifugiarsi a Sparta dopo la vicenda dei misteri Eleusini, definiva la democrazia, secondo quanto riportato da Tucidide. Tralasciando questioni filologiche sull’attendibilità dei dialoghi tucididei, quello che qui interessa è il giudizio di Alcibiade sulla democrazia.

La democrazia e i demagoghi ai tempi di Alcibiade

Stava accadendo che quel sistema di governo nato all’incirca nel VI secolo a.C, dopo cinquant’anni di relativa stabilità, iniziava ad esser interessato da un fenomeno particolare. Uomini provenienti dalle fila del “demos” tentavano di porsi ai vertici del sistema democratico, attraverso discorsi assembleari tesi ad accattivare il favore dell’assemblea stessa. Costoro, secondo quanto scritto da Aristotele [1], erano infatti chiamatidemagoghi”, letteralmente adulatori del popolo. Occorre dire che quando si fa riferimento al popolo in queste circostanze, si intende quella massa di poveri che, costretti a lavorare per vivere, non avevano la possibilità di esser iniziati a forme d’educazione culturale (diversamente dgli aristocratici da cui peraltro proveniva lo stesso Alcibade). Contrariamente a quanto le fonti, di matrice filo aristocratica, dicevano su costoro, oggi sappiamo che quei “demagoghi” erano in realtà puntuali riformatori del sistema democratico, che tuttavia cercavano realmente di controllare servendosi di tanta retorica.

Dallo studio della della democrazia greca sembra emergere anzitutto la presenza di due parti fra loro contrapposte, schematicamente potremmo dire una popolare ed una aristocratica.

E poi, la stretta correlazione fra democrazia e demagogia: è quanto vogliamo sottolineare al di là di giudizi schiettamente storici. Questo lo sapevano bene i contemporanei di Alcibiade, fra cui il famoso commediografo Aristofane, lo sapeva bene Platone nel IV secolo ed anche Aristotele, che proprio a tale problema ha dedicato gran parte della sua riflessione.

Per Aristotele, infatti, il binomio democrazia-demagogia era tutt’altro che casuale, anzi la demagogia era a suo dire, una delle forme che costituiva il sistema democratico; giungendo nella Politica a tracciare delle prove di tale correlazione. Certo molte di queste tesi oggi sono insostenibili, poiché gli attuali sistemi democratici hanno sviluppato, nel corso della storia, sistemi che arginassero la deriva demagogica insita nella democrazia (si veda in questo senso le costituzioni).

Teste pensanti o folla scomposta?

Tuttavia c’è una tesi sostenuta da Aristotele che potrebbe ancora dirci qualcosa. Nella democrazia demagogica i più, egli dice, sono sovrani non presi uno per uno, ma tutti insieme [2]. Per meglio chiarire, Aristotele continuava facendo riferimento ad un passo dell’Iliade in cui Odisseo, convocato da Agamennone con altri capi militari, si schierava contro l’autorità dei molti.

Aristotele cerca allora di capire quale “molteplicità di capi” Omero ritenesse non buona, se quella tipica della democrazia demagogica o quella in cui più persone comandano, prese individualmente. Era di fatto accaduto che condizionati dalle parole di Agamennone, il quale lasciava intendere un possibile rientro a casa, i guerrieri si trasformassero in una folla scomposta e messo da parte il rigore militare, corsero verso le navi pronti a salpare. Solo l’intervento di Odisseo, che parlò con ogni singolo capo militare, pose fine al trambusto [3].

Il popolo che si lascia abbindolare dal demagogo, sembrava allora dire Aristotele, assomiglia a quella massa di soldati. Non una molteplicità fatta di teste pensanti, come il consiglio degli aristoi che Agamennone aveva riunito prima di convocare l’assemblea, ma una massa vociante che si muove all’unisono, reagendo a stimoli elementari. Tutto questo, a suo avviso, era possibile dal momento che il popolo non padrone di sé e pertanto si lasciava ammaliare dalla chiacchiera demagogica.

Democrazia e discorso demagogico ai tempi del governo Lega-5stelle.

Nel Novecento non sono mancati pensatori che hanno ribadito la tesi aristotelica, si pensi a Weber. Ma anche chi non avesse letto una pagina di Weber può benissimo constatare, oggi, quanto la democrazia attuale sia ancora esposta a derive demagogiche. Questo perché è il discorso politico democratico ad essere in sé esposto ad un uso demagogico; essendo un discorso che non ha finalità conoscitive (come quello scientifico) costituito cioè da puri enunciati performativi. L’efficacia del discorso demagogico deriva, d’altra parte, dal fatto che non si propone mai di mettere in discussione le opinioni diffuse, ma di nutrirsi delle stesse. Il punto, allora, sembra essere quello colto da Aristotele: il demagogo dice al popolo ciò che il popolo vuole sentirsi dire.[4]

Per quanto il legame democrazia-demagogia sia evidente, tuttavia ci sono fattori molteplici che concorrono a rinvigorire il fenomeno demagogico. Primo fra tutti, come ha fatto notare Laclau [5], in un contesto di crisi socio-economica, in cui il corpo sociale è lasciato a sé, privo di corpi intermedi; è evidente che la presa della retorica demagogica sarà maggiore. A questo punto sembra inutile ribadire che la creazione dei partiti di massa, oltre alle innumerevoli altre forme di associazionismo politico, rispondeva proprio a questa esigenza.

Ovvero, pur nella loro diversità, quelle parti (partiti) esprimevano e articolavano le domande provenienti dal basso, educando alla pratica democratica. Perché in fondo è di questo che si tratta: esser educati alla democrazia. Per anni abbiamo ritenuto la democrazia un sistema “scontato”, eliminando quelle pratiche di socialità che di essa sono il cuore pulsante: dal pensiero politico democratico costruito attraverso la partecipazione attiva, siamo passati all’opinionismo webeta.

In conclusione, che la democrazia sia esposta alla demagogia sembra esser chiaro. In questo stava la “pazzia notoria” di cui lamentava Alcibiade. Ciononostante ancor più folle sarebbe non tentare di arginare la deriva demagogica che sempre minaccia gli equilibri democratici. È nella lotta articolata fra le parti (i corpi intermedi di Laclau) che la democrazia trova la sua ragion d’essere, ristabilendo gli equilibri interni, non nel discorso ammaliatore. Forse per questo la democrazia continua ad essere una pazzia notoria.

E. Comes

[1] Aristotele, Politica, V, 1313b.

[2] Aristotele, Politica, 1292 a 10.

[3] Iliade II, 204.

[4] Pazè, La demagogia, ieri e oggi.

[5] Laclau, La ragione populista.

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