Il viso della piccola Anna Frank posto a capo della maglietta con i colori del club calcistico della Roma. Questa è l’immagine che gli ultrà laziali hanno esposto durante una partita per denigrare “i fratelli ebrei” della squadra avversaria.

Fatto che non è rimasto limitato alla sfera calcistica, coinvolgendo anche il mondo della politica che ha immediatamente denunciato moralmente l’accaduto. Tempestive le iniziative promesse dai dirigenti di entrambe le sfere che vorrebbero bloccare l’avanzata del virus dell’odio razziale attraverso iniezioni di letture, in eventi sportivi, del celebre Diario della piccola Frank. Non sono mancate neanche trasmissioni televisive dedicate al racconto dell’accaduto infarcite dalla presenza di eminenti storici utili a ricordare la storia della Frank. Sospendendo così l’anestetico (trasmissioni pomeridiane di cronaca nera e gossip) che da anni blocca le menti degli italiani, per un’urgenza di immunità sociale. A ciò si aggiunga lo sdegno sui social espresso dalle chiacchiere dei webeti.

Al di là della empietà dell’accaduto, certamente non condivisibile e lecitamente condannabile, occorre provare a ragionare per altre vie.

Anzitutto, viene da chiedersi come mai solo ora tutto questo sdegno.

Eppure basta aggirarsi nei pressi di uno stadio qualsiasi per trovare scritte sui muri volte ad esaltare la squadra locale o affine o celebrare il gruppo ultrà ad esse legate, rigorosamente accompagnate da svastiche, fasci littori e il più delle volte croci celtiche.

Non sono nuovi neanche i cori razzisti nei confronti di giocatori di colore. Come dimenticare, poi, la maglia nera indossata dal celebre Buffon, con tanto di motto fascista “BOIA CHI MOLLA!!”; fino al saluto fascista del fin troppo esaltato Paolo Di Canio. Chi dimentica il famoso “GENNY A’ CAROGNA”, capo ultrà dalle chiare idee fasciste. Ma il virus fascista colpisce anche le alte sfere del mondo calcistico. Proprio Carlo Tavecchio, presidente della Fgc, qualche anno fa, In riferimento ad alcuni giocatori, parlò di “neri che mangiavano banane e ora giocano in serie A“. Esordendo poi in un’altra intervista dicendo “non ho niente contro gli ebrei, ma meglio tenerli a bada”. Ultimo, ma non ultimo il caso dell’allenatore del Torino, Mihajlovic, che interrogato sull’increscioso episodio ha dichiarato di non conoscere la storia di Anna Frank.

Solo ora però, il mondo politico interviene con la falsità morale che lo costituisce. Meglio tardi che mai!!

Ma l’increscioso episodio altro non è, come dimostrato, che la punta di un iceberg sommerso; espressione di quel fascismo latente che anima il cuore delle tifoserie italiane (non solo) da qualche anno, di cui la politica è a conoscenza, ma che non ha mai cercato di arginare.

A dimostrazione di quanto il mondo del calcio sia strettamente legato a quello della politica, occorre ricordare che le tifoserie italiane hanno origine negli anni 60-70; correlate ai movimenti di contestazione politica, di cui recuperano (esasperando) l’uso di cori, bandiere, simboli, ecc.

Così, evidente è quanto l’increscioso fattaccio, come tutti gli episodi che richiamano principi fascisti in ambito prevalentemente calcistico, siano l’espressione di un drammatico ritorno a ideologie pericolose, che animano una società ormai priva di risposte politiche intelligenti.

Enrico Comes

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