Sono deliranti eccellenti creatori di anti-valori, i nuovi governanti.
Nella realtà virtuale ci credono e al tempo stesso la producono, formulando racconti decorativi attraverso la propagazione continua di slogan. Speranze paludate per ingannare in un assoluto piattume dove la vita si crea nel delirio e si disfa nel totalitarismo.
L’inferno è un rifugio, in confronto a questo a vuoto prostrato, in cui nulla ci trattiene se non lo spettacolo delirante di un Ministro dell’interno che colma il vuoto della coscienza con una malattia di cui non ci ricordavamo più: il razzismo come medicina per la superba inutilità dell’esistenza.
I nuovi padroni del potere si sono insediati nell’agonia desolata di Roma. Si rispecchiano negli occhi vuoti dei busti di marmo e negli idoli in declino. Sono esperti di disinganni e si circondano di folle festose di cortigiani, fuoriescono da lupanari scettici e da circhi crudeli per dilagare in un fervore di democrazia morente.
Sono gli eredi di Gobineau–Davenport, che sognano acque benedette per annegare l’umanità indesiderata.
Così questo crimine diventa uno svago che con candore viene annunciato in una cornice da esecuzione capitale.
Apriteli! Quei porti, per pulire le nebbie maleodoranti di mali provati dal virus razzista.
È l’oblio della storia passata che ci impedisce di rappresentare la pluralità dei destini simultanei. Quale peccato hanno commesso, quale colpa per esistere?
Precipitiamo nella decadenza della civiltà, nel riflesso del suo esaurimento. Viviamo di una morale astratta, imbastardita da ciarlatani muniti di ricette per guarire una prostrazione incurabile e generalizzata.
La menzogna è l’illusione attraverso cui crediamo di comunicare, saltimbanchi artefici di una ciarlataneria sapiente. Si è “civilizzati” nella misura in cui si esibisce la propria lebbra razzista, tanto più si vomita fiele.
In questi paradossi incorniciati dalla caricatura del sublime, emerge la visione di una piazza da impiccagioni con il patibolo pronto per le prossime carcasse.
A. Montanaro