Sempre più frequentemente si parla di post-ideologia in riferimento al processo di liquefazione della sfera politica. Per quanto tale concetto sembrai esser universalmente accettato – tanto da esser opinione comune a destra come a sinistra – ed indicante un reale fenomeno di sfaldamento; tuttavia nasconde la presenza di una macro ideologia perversa imperante.

Nessuno infatti, si definisce post-liberale in un mondo che considera il capitalismo l’unico orizzonte di senso: questa è ideologia allo stato puro!

Parlare di post-ideologia, significa in altri termini, sostenere un certo discorso post-politico, secondo cui qualunque problema di chiara matrice politica viene letto ed interpretato in base a parametri etico-culturali. Non è un caso se la parola migrante ha ormai soppiantato quella di operaio (lavoratore) e se il problema del multiculturalismo, legato all’intolleranza dell’altro e al rispetto dei dritti etnici, ha sostituito quello relativo alle dinamiche di sfruttamento dei lavoratori e alla distruzione del welfare state.

Con ciò non si vuol certo ignorare o sminuire il reale e drammatico problema umanitario; al contrario occorre guardarlo da un’altra prospettiva per restituirgli la giusta dignità.

Di fronte a tale problema, la politica “post-ideologica” si divide su due fronti: da un lato i progressisti con i loro discorsi sul multiculturalismo, dall’altro i populisti anti-immigrazione pronti ad erigere muri.

Quale delle due posizioni è più ragionevole? Se letta in termini post-ideologici, secondo cioè parametri etico-culturali, il multiculturalismo sembra esser la risposta più ragionevole.

Di fatto nessuna posizione lo è: sono entrambi negative se lette in chiave politica. È qui che si nasconde l’ideologia perversa dominante: fingere di riferirsi alle persone e alle loro reali esigenze.

Mentre la post-politica si congestiona sul dibattito etico-culturale, il capitalismo si adatta molto più velocemente ad ogni forma di ethos e di cultura, assecondato da una certa politica ormai disposta a tutto pur di alimentarlo.

Pertanto, tutti i nostri discorsi sui migranti sono funzionali a distogliere l’attenzione dal reale problema politico: il capitalismo. Siamo spinti a credere che la minaccia provenga dall’esterno, da questo Altro, senza capire che ciascuno di noi è altro in sé e soggiogato in un sistema avvolgente e senza scampo. Peraltro, non è sufficiente riconoscere l’astrazione ideologica del capitalismo che prosegue il suo cammino senza preoccuparsi minimamente né dell’ambiente, né dell’uomo (come tenta di fare una certa analisi illusoriamente illuminata). Il problema è che questa “astrazione” è reale nel preciso senso di determinare proprio la struttura dei processi sociali materiali: il destino di intere popolazioni e a volte di Paesi, dipende dall’andamento folle del capitale, che punta alla sua crescita con indifferenza rispetto alle ricadute sociali. Questa è la violenza sistemica del capitalismo che si riversa nella società, molto più efferata di qualsiasi violenza socio-ideologica pre-capitalista. La violenza oggi esercitata è anonima, non più attribuibile a persone in carne e ossa e alle loro “cattive” intenzioni.

Per queste ragioni, di fronte ai discorsi post-ideologici, all’odio etnico e alla violenza, occorrerebbe rifiutare la tipica idea multiculturalista secondo cui per combattere l’intolleranza etnica, si debba imparare a rispettare e convivere con l’Altro, sviluppando tolleranza. Il vero modo di sconfiggere questi sciocchi discorsi, come quelli che vedono nella costruzione di muri l’unica alternativa, non è una soluzione etica. Abbiamo bisogno di odio, ma un più corretto odio politico: un odio diretto al nemico politico comune!

E. Comes

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