Dopo il massacro di Parigi i nostri media mainstream si sono scatenati. Non c’era rete che non avesse in programma la cronistoria dei fatti. Ogni programma ha avuto i suoi personaggi pronti a spiegarci come l’Islam sia cattivo, specialisti di distorsioni storiche, sociologi, storici, esperti di terrorismo, tutti all’unisono pronti al “siamo tutti francesi”, al “Je suis Charlie”. Ore interminabili di filmati del poliziotto ucciso a freddo.

Lo storytelling che utilizza i principi della retorica della paura agisce per sollecitare le paure ancestrali del diverso, dei barbari che uccidono senza ragione e così consolida le proprie ragioni razziste. Un circo mediatico con collegamenti dalla Francia per informarci del nulla è il vero raid sulle coscienze dei cittadini.

Al seguito di una xenofobia dall’alto si sono aggregati i nostri lupi mannari, dalla Lega di Salvini e Borghezio ai fascisti dichiarati di Casa Pound, tutti insieme contro immigrati e rifugiati.

In una fioritura di avatar della politica spettrale, lo spazio politico e quello dei media si sono fusi, dando vita ad un campo magnetico di difesa dei propri interessi.

Salvo rare eccezioni, nessuno ci spiega come dei giovani francesi di religione islamica decidano di abbracciare la jihad per diventare dei terroristi. Nessuno si addentra nelle periferie del mondo per sentire questi giovani, come vivano, quali siano i loro sentimenti verso l’occidente. Sono figli di seconda generazione o terza, di Harki rientrati dopo l’Algeria, sono figli di immigrati che non sono mai riusciti ad essere integrati, con lavori precari e bassa scolarizzazione, giovani che sentono le ingiustizie verso quel mondo musulmano della propria origine. Sono i giovani che dopo le tante guerre di esportazione della democrazia hanno visto nazioni devastate dai bombardamenti, con migliaia di morti, giovani che non hanno mai sentito dire “Je suis palestinese”, “Je suis egiziano”, “Je suis iracheno”, etc. etc.

E’ tempo che gli specialisti del pensiero unico incomincino a riflettere sulla banalità dei propri luoghi comuni e sulle proprie colpe per avere appoggiato le suddette guerre. E’ tempo degli uomini liberi di iniziare un dialogo con quei giovani, per capirsi e costruire insieme una società più giusta e democratica. E’ tempo di non lasciare spazio ai tanti sciacalli e razzisti che stanno sempre in agguato per azzannare.

A. Montanaro

11 gennaio 2015

 

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