Nell’abisso del futuro

Nell’abisso del futuro

Come si continua a ballare, anche quando il diavolo bussa alla porta, mentre si setaccia la storia del presente! Nella Babele in attesa della distruzione della “civiltà” contemporanea, con guerre, con armi, con la finanza, con la distruzione della sanità e dei servizi sociali in genere, con la distruzione sistematica della terra.

Ora sappiamo che gli incubi sono la realtà quotidiana e non si sogni, come ci viene raccontato dai media asserviti al potere nell’altra guerra che si conduce, quella dell’informazione.

Fieri da piccola Italia, il belpaese dei B. and B.”, siamo lontani dal “fare gli italiani”, oberati dalla dissuasione e dall’ignoranza, anticamera della deculturazione. Piegati dalle teorie razziste pubblicizzate da elementi che siedono in parlamento. Tutto viene mentito nelle informazioni ai cittadini, soggetti alla pesantezza del lavoro precario e nocivo. Come nella “casa di ispezione”, il Panopticon di Jeremy Bentham, così è la geografia del lavoro presente, una geografia che comincia a prendere forma nel passato a partire dalle teorie di S. Babbage (il primo informatico) sulla gestione del tempo lavorativo, delle teorie di Tayolor sulla gestione della forza lavoro ai fini della produzione di massa, tutto confluito nelle pratiche di Amazon e soci.

Ed è già futuro, con la IA e gli algoritmi si governerà il mondo. Siamo entrati nell’era della decadenza umana: le macchine al lavoro senza lavoratori, partiti e governi nullificati, guerra in permanenza. L’ultimo traguardo: fine dell’umano.

Persino il tempo viene privatizzato, come i corpi gestiti nei computer della produttività aziendale. L’unico futuro possibile è la schiavitù tecnologica al servizio dell’economia drogata.

Cosa ci resta della nostra umanità?

La terra dell’odio

La terra dell’odio

Un odio antico si aggira nella Palestina da quando, nel 1948, si proclamò lo Stato d’Israele. È il peccato originale degli europei, subito dopo la seconda guerra mondiale, dopo le dichiarazioni di T. Herzl secondo cui la Palestina era una “terra disabitata”; parole con cui l’ideatore del sionismo aprì la via dell’immigrazione ebraica in Palestina, allora sotto mandato britannico. Le responsabilità inglesi in tutto ciò che ne seguì sono scritte in fatti e documenti storici, tra cui la nota “Dichiarazione Balfour“, con la quale, nel 1917, il ministro degli esteri inglese rivela il favore del governo britannico all’idea di stabilire in Palestina la “dimora nazionale per il popolo ebraico”. Poi ci fu l’Olocausto e gli europei, pur di disfarsi dei sopravvissuti da campi di sterminio, chiusero gli occhi per non affrontare il concatenarsi di problemi derivanti dalla creazione di un nuovo Stato in una terra che disabitata non era.

Da 70 anni si succedono guerre, sia per colonizzare i territori palestinesi sia per difendersi. Da chi? Per fare chiarezza bisogna dire da subito che Israele è uno stato militarizzato (molti premier che si sono succeduti nel tempo provengono proprio dalle fila militari, incluso lo stesso Netanyahu). Con la scusa del ritorno alle origini, “bibbia alla mano” si sono usurpate terre su cui vivevano e lavoravano le popolazioni palestinesi.

Per chi oggi critica ciò che accade in quelle terre, subito parte il refrain dell’antisionismo. Dall’antisionismo all’antisemitismo si chiude il cerchio per giustificare tutte le azioni repressive contro il popolo palestinese.

Oggi il nemico è Hamas, ieri era l’OLP, tutti etichettati terroristi. Nessuno si ricorda cos’erano i gruppi di Haganah/Stern, organizzazioni paramilitari terroristiche ebraiche attive negli anni ’20 durante il mandato britannico, poi integrate nelle forze armate israeliane. Si tace sulle operazioni israeliane fuori dal proprio territorio nazionale, sugli attacchi mirati contro la leadership palestinese, sulla reclusione di migliaia di adolescenti nelle carceri, sulle sparatorie continue dei coloni armati contri i palestinesi.

Basta sentire le dichiarazioni razziste del ministro degli interni israeliano, lo stesso che in questi giorni distribuisce armi ai coloni. Ascoltare lo schifo delle dichiarazioni sia nostre che di altri paesi dove le destre che ieri negavano la Shoah oggi sono schierati tutti con Israele. Quante occasioni sono andate perdute di non tacere l’orrore che la guerra di Gaza sta producendo.

L’umanità perde l’occasione della pace, se ti tace sui massacri.

A. Montanaro

Foto di Antonio Lopez da https://flic.kr/p/5T2WXp

Mattatoio infinito

Mattatoio infinito

Ancora una guerra in Medioriente (l’ennesima), non si riesce più a contarle.

Ognuno con le sue ragioni, con i propri schieramenti e per gli interessi geopolitici di altre potenze, ci si straccia le vesti per i morti da ambo le parti. Se non ci si schiera arrivano le accuse da parte di guerrafondai nostrani.

Si dimentica la storia della Palestina come di quella di Israele. Tutti indossano le divise di guerra, scandalosi format schierati con le ragioni del potente esercito israeliano. Se si critica il governo di Netanyahu subito scatta l’accusa di antisemitismo. Non si ragiona sulle cause di una guerra che viene da lontano, sugli insediamenti dei coloni, sulle terre colonizzate, se Hamas adotta il terrorismo come arma di ritorsione soprattutto verso i palestinesi, su come “il nemico del mio nemico è mio amico”.

Israele usa Hamas per la sua strategia di espulsione dei palestinesi dalle loro terre. Un gioco che viene pagato a caro prezzo da entrambi i popoli, soprattutto con il governo Netanyahu composto prevalentemente da destre estreme, se non fasciste. Per questo il futuro sarà ancora guerre e guerre, senza alcuna soluzione.

Le grandi potenze potrebbero in poco tempo risolvere e sanare il cancro mediorientale, ma finché gli interessi strategici di geopolitica prevarranno sul diritto umano all’esistenza dei popoli, si continuerà con il mattatoio.

Nec spec nec metu (Senza speranza senza paura)

Nec spec nec metu (Senza speranza senza paura)

L’homo economico distrugge le strutture sociali, quelle che segnano l’umanità civile, e mentre lo fa si crede moderno. Continuiamo a fischiettare mentre siamo immersi nella merda.

Non esistono più le Moire per tessere la vita, oggi bastano gli algoritmi (IA) per distruggere il sociale. Nell’attesa dei viventi dopo la fine del futuro godiamo il nulla. Come la fine del sociale dovrebbe prepararci alla socialità della fine.

Con l’uberizzazione dei servizi persino il sistema basato sulla precarietà viene meno, e lo sfruttamento cinico della fragilità di migranti e rifugiati su cui si spinge un capitalismo iperliberale dovrà impiegare in modo permanente la violenza per controllare disperazione e rivolte (come abbiamo visto in Francia), favorendo movimenti xenofobi e razzismo istituzionalizzato.

La normalizzazione della guerra in Ucraina è la manifestazione visibile dello “stato d’eccezione normalizzato” in cui viviamo, così come avviene con il disastro climatico in atto.

La pratica nell’arte di costruire rovine gioca con i poteri dei governi reazionari che attualizzano la fine sociale dei cittadini.

Vivere nelle offerte menzognere che la cornice metafisica di questa nostra civiltà spaccia per utopia ci porterà nel deserto della non esistenza. E, come dire, diventeremo come gli abitanti del pianeta di Tlon (Borges). Del mondo perduto nella sua rovina resterà traccia solo nei depositi dei suoi escrementi.

È l’estate a Monopoli, bellezza!

È l’estate a Monopoli, bellezza!

Lentamente l’estate si avvia verso la nostalgia dei ricordi, un’estate torrida sia dal punto di vista atmosferico che di esposizione di notizie che hanno reso Monopoli protagonista sulla scena nazionale e internazionale.
Il caso più eclatante è quello delle friselle vendute da un noto albergatore al prezzo di 20 euro ma qui si pratica sistematicamente la tosatura senza vergogna del turista, in nome della logica del profitto. Monopoli diventa sempre di più una città pirata, senza regole, con professionisti della rapina.
Nessun riguardo verso il personale addetto ai servizi, una maggioranza completamente in nero.
Ci siamo fatti notare per la statua della sirenetta fatta dagli studenti dell’Istituto d’arte che ha attirato le critiche dei soliti bacchettoni che non mancano mai.
Tutti serenamente silenziosi, invece, verso l’inchiesta che ha investito il sindaco con mezza amministrazione cittadina. Dopo i primi giorni di clamore di piazza, tutto è rientrato nella dimenticanza. L’eco nelle stanze della stampa locale copre omertosamente il tutto.
Come sempre Monopoli della tradizione magliara non molla la sua natura e si rifiuta di stare alle regole della civiltà, con una classe di intellettuali completamente asservita alle logiche del quieto vivere e dove le generazioni del futuro non hanno nessun riferimento per il loro avvenire.
Questa è Monopoli, bellezza!

A. Montanaro
Foto E. Cirant

Il ballo dei guermantes

Il ballo dei guermantes

Nell’oltrepassare la quiete della storia, ciò che è silenzioso deve essere urlato in tutti i particolari, nel nascosto teologico il nascosto deve essere svelato. Come nella “cene de le ceneri” (Giordano Bruno) il nascosto svela “copernico”. Come Abramo intraprese il mestiere di straccivendolo per nascondere l’arma del sacrificio, come alcuni stupidi di genio a cui, senza saperlo, spetta l’icombenza di gestire il racconto sulla gestione del potere, come l’economia è strumento per regolare dolore e piacere, per ? ricch? e per ? pover?.

Questo linguaggio mercenario è in cima alla politica attuale, dove la potenza dell’illimitato si cela nel denaro stesso. Costretti in una massa di duplicati con un destino governato da due mummie: quella di Lenin nel suo mausoleo e quella di Bentham, University College. Nulla è più utile all? cittadin? che la menzogna, nulla più nocivo della verità (Diderot).

Ci avviciniamo alle città post-storiche eredi di “Perla”, la città immaginaria di Alfred Kubin. Verso forme di vita racchiuse in isole tribali, pensando al socialismo come fratello nemico del capitalismo, mentre invochiamo l’esercito della salvezza che ci riconduce ai versetti di Isaia.

Nel tempo che cade gocciolando si finge di essere afflitti da “Tanatosi”. Nel nuovo meccanismo sociale dove si perdono i legami di classe, un tempo risvegliati dal bisogno della solidarietà, si entra in uno stato di isolamento disumano. Così al chiasso della vita si preferisce il silenzio della notte.

In attesa che dal sottosuolo delle sopite vendette, scoprchiato, emerga “l’esercito di riserva” per sconfiggere l’imperialismo economico, anche se nei cieli della solitudine la foresta mentale scava fino all’osso, nulla resta nell’aver un non pensiero.

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